Decine di donne si sono radunate il 7 giugno scorso sotto la sede del ministero degli Esteri a Rabat, brandendo cartelli e urlando slogan. Sono le madri delle donne marocchine detenute in Arabia Saudita che chiedono al re Mohamed VI di intercedere per permettere il rimpatrio delle figlie.
Quella delle donne nel regno saudita è una condizione difficile, ancor più se straniere e africane. Immigrate come lavoratrici, studentesse o turiste, vedono annientati i propri diritti e sono sovente oggetto di violenze, abusi e detenzioni arbitrarie.
Tra le 60 e le 150 donne marocchine sarebbero attualmente nelle carceri saudite, condannate o in attesa di processo. Fonti diplomatiche dell’ambasciata marocchina a Riyad riferiscono che le accuse più frequenti riguardano prostituzione, uso e traffico di droga, aggressioni e omicidi, furti, alcolismo e stregoneria.
A loro viene spesso negato un giusto processo e un’adeguata assistenza legale. In carcere poi, subiscono in molti casi torture, dicriminazioni e violenze, senza accesso a cure mediche.
Totalmente irrispettosi dei diritti umani sono spesso anche i motivi del loro incarceramento e delle condanne, per incorrere nelle quali è sufficiente a volte anche solo aver espresso la propria opinione pubblicamente.
Oppure aver ucciso, per legittima difesa, il marito violento, come è accaduto ad Amina Ba, una donna senegalese condannata a 10 anni di carcere. O, ancora, essere fuggita a un matrimonio forzato, come accaduto a Fatoumata Diarra, una donna maliana condannata a 6 mesi e a una multa.
Sono centinaia le donne africane che hanno subito e subiscono questo tipo di trattamento in Arabia Saudita. In loro sostegno è intervenuta più volte anche Amnesty International chiedendo mobilitazioni internazionali per la loro liberazione e il ritorno in patria.
Cosa che le madri delle donne marocchine si augurano possa avvenire presto. A giocare a loro favore potrebbe essere il recente riconoscimento da parte dell’Arabia Saudita della sovranità di Rabat sul territorio occupato del Sahara Occidentale. E dunque la distensione nei rapporti tra i due paesi.