La rotta migratoria verso le Canarie sempre più mortale - Nigrizia
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Più di 1.000 in media le vittime al mese, secondo Ca-Minando Fronteras. Un incremento di quasi il 700% rispetto ai primi cinque mesi del 2023
La rotta migratoria verso le Canarie sempre più mortale
Boom di partenze, di arrivi, ma anche di naufragi da inizio anno, nonostante i finanziamenti dell’Unione Europea per ridurre i flussi anche lungo la costa atlantica. Con la Mauritania che guadagna il primo posto come paese di imbarco, superando il Senegal
21 Giugno 2024
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 5 minuti

Vite che si perdono lungo il cammino nel tentativo di raggiungere un’Europa ostile e disinteressata a raccogliere migranti in fuga. Tra le rotte sempre più utilizzate, e al contempo sempre più mortali, c’è quella che passa dalle Canarie. Con quello dello Yemen uno dei percorsi più terribili per i migranti.

Nei primi cinque mesi dell’anno 5.054 persone sono morte nel tentativo di raggiungere la Spagna via mare, il 95% delle quali durante la traversata dell’Oceano Atlantico dall’Africa occidentale e nordoccidentale verso le Isole Canarie. Una media di 33 persone, più di 1.000 al mese, che ogni giorno su quel percorso lasciano la vita.

Le ultime cifre di questa drammatica situazione sono evidenziate nel nuovo rapporto di Ca-Minando Fronteras. Dall’analisi emerge anche che la Mauritania ha superato il Senegal come principale punto di partenza. Partenze che – solo in questo caso – hanno provocato 3.600 morti tra gennaio e aprile.

Circa l’83% delle 7.270 persone arrivate alle Isole Canarie nel gennaio 2024 – un aumento del 1.184% rispetto allo stesso mese del 2023 – sono partite da questo paese dell’Africa occidentale. In realtà gli arrivi alle Isole Canarie sono in aumento da anni, ma gli ultimi dati rappresentano un aumento delle vittime di quasi il 700% nei primi cinque mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023.

Durante questo lasso di tempo, almeno 47 imbarcazioni – di solito piccole e con centinaia di persone a bordo – sono scomparse con tutti coloro che le affollavano. Tre sono i principali paesi da cui si imbarca chi spera di arrivare vivo dall’altra parte: Mauritania, Senegal e Marocco.

Mentre, negli ultimi anni le rotte terrestri verso le enclavi spagnole del Nordafrica – Ceuta e Melilla – hanno registrato un notevole calo del traffico di migranti.

In un’intervista rilasciata a The New Humanitarian Helena Maleno, direttrice di Ca-minando Fronteras ha detto: “Stiamo assistendo a un aumento significativo del numero di donne, così come di migranti più giovani e di una gamma più ampia di nazionalità provenienti dalla regione del Sahel ma anche a un preoccupante aumento del numero di sparizioni lungo questo percorso”.

Ma perché così tanti morti? È davvero solo colpa di imbarcazioni inadatte e fatiscenti? Le cause della perdita di tante vite umane a dire il vero vanno ricercate nel comportamento e nelle scelte di altri esseri umani.

Il rapporto evidenzia, infatti, la carenza dei servizi di soccorso o addirittura la completa indifferenza di chi sarebbe preposto all’aiuto in mare e che invece volta la faccia dall’altra parte o, nel migliore dei casi, intervenendo ma mettendo in azione mezzi insufficienti.

Lo human rights washing dell’Europa

In questo contesto bisogna continuare a sottolineare le politiche dell’Unione Europea che attraverso i partenariati con paesi terzi cerca di ridurre l’afflusso dei migranti delegando azioni di vero e proprio respingimento. In questo caso parliamo degli accordi con Libia e Tunisia.

Respingimento attivo quando si intercettano i migranti ai confini e malamente li si rimanda indietro, riportandoli di fatto tra le braccia dei trafficanti di esseri umani, o quando li si rinchiude nei centri/lager in attesa di rimpatrio. Respingimento passivo quando li si lascia morire in mare.

Il report sottolinea un concetto ormai noto nei fenomeni migratori: se una porta si chiude se ne apre un’altra. Se i migranti sanno di rischiare l’alt o di rimanere bloccati per mesi attraversando determinate rotte, allora ne utilizzeranno altre.

È quello che sta accadendo per i migranti che oggi passano dalla Mauritania e dal Senegal avendo in mente la traversata dell’Atlantico verso le Canarie e da qui verso paesi europei. E molti di questi provengono dal Marocco, nonostante il rafforzamento della sicurezza ai confini di questo paese nordafricano.

Stesso discorso per il Senegal dove le autorità locali, l’agenzia europea Frontex e la Guardia Civil spagnola esercitano il controllo sulle acque senegalesi. Ma le politiche dell’UE non cambiano.

Proprio recentemente, nell’ambito del nuovo Patto su migrazione e asilo siglato dal Parlamento europeo, l’UE ha concesso un pacchetto di finanziamenti da 7,4 miliardi di euro all’Egitto per frenare i flussi migratori verso l’Europa e 200 milioni di euro alla Mauritania con il medesimo obiettivo.

Dal canto suo, la Spagna nel 2021 ha garantito 30 milioni di euro al Marocco dopo che le forze di sicurezza marocchine avevano aperto il confine con Ceuta e permesso a 8.000 migranti di attraversarlo in un solo giorno.

The New Humanitarian ricorda a questo proposito una recente indagine di Lighthouse Reports, secondo la quale le nazioni europee sostengono, finanziano e sono direttamente coinvolte anche in operazioni clandestine nei paesi del Nordafrica.

Operazioni che prevedono l’abbandono nel deserto o in aree remote per impedire a decine di migliaia di migranti e richiedenti asilo di arrivare in Europa. Decine di migliaia ogni anno. Secondo tale report i fondi per queste “discariche” di esseri umani nel deserto – in Mauritania, Marocco e Tunisia – rientrano nella voce “gestione della migrazione”. Una sorta, aggiungiamo noi, di human rights washing.  

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