Alla fine il presidente del Kenya William Ruto si è piegato alla volontà del popolo.
Con un discorso televisivo alla nazione ieri sera, ha annunciato lo scioglimento del suo governo (licenziati 22 ministri su 23), una delle richieste chiave dei manifestanti della cosiddetta Gen Z che da settimane protestano contro corruzione e privilegi dei politici e contro l’aumento delle tasse.
In carica, ha fatto sapere Ruto, resta solo il ministro degli Esteri e primo segretario di gabinetto, Musalia Mudavadi, oltreché il vicepresidente, Geoffrey Rigathi Gachagua, che il capo dello stato non può licenziare.
«Mi impegnerò immediatamente in ampie consultazioni tra diversi settori e formazioni politiche – ha detto Ruto -, con l’obiettivo di istituire un governo ad ampia base che mi aiuterà ad accelerare la necessaria, urgente e irreversibile attuazione di programmi radicali per affrontare il peso del debito, aumentando le risorse nazionali, ampliando le opportunità di lavoro, eliminando gli sprechi e le inutili duplicazioni di una molteplicità di agenzie governative e uccidendo il drago della corruzione, rendendo di conseguenza il governo snello, poco costoso, efficace ed efficiente».
Lo scioglimento del governo è l’ultima di una serie di concessioni fatte ai manifestanti nelle ultime settimane. La più importante di queste è stata la cancellazione della controversa legge finanziaria che introduceva nuove tasse a danni dei cittadini.
Concessioni che hanno frenato la montante rabbia popolare, ma con un pesante prezzo sul piano politico, visto che molti dei ministri silurati sono stretti e storici alleati di Ruto.
Non è chiaro ora cosa il presidente intenda fare per ricomporre lo strappo provocato all’interno della sua coalizione di governo (Kenya Kwanza), né quali saranno i suoi nuovi interlocutori per la formazione di un nuovo esecutivo che goda del consenso popolare.
Un’ipotesi accreditata dal quotidiano Nation è quella della formazione di un “governo di unità nazionale” con l’ingresso di esponenti dell’opposizione, ovvero dell’Orange Democratic Movement (ODM) di Raila Odinga. Ma non è detto che questa eventuale soluzione vada bene alla piazza, per la prima volta nella storia del paese riunita senza bandiere politiche e senza leader.
Il peso del debito
Sul piano economico resta il peso del gigantesco debito estero accumulato. Il “muro del finanziamento del debito”, come lo ha definito David Ndii, presidente del Consiglio dei consulenti economici del presidente, secondo cui il Kenya ha bisogno di circa 26 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per ripagare i debiti esteri attuali. Una previsione al ribasso, alla quale si aggiunge il peso di circa 1,5 miliardi di dollari all’anno interessi.
Un debito pubblico che costituisce circa il 70% del prodotto interno lordo del Kenya, il più alto degli ultimi 20 anni.
Da gestire ci sono anche le pressioni del Fondo monetario internazionale (e del saldo alleato, gli Stati Uniti) che aveva imposto le misure “lacrime e sangue” contenute nella dismessa finanziaria – aumento delle tasse, riduzione dei sussidi e privatizzazioni delle imprese statali – nell’ambito di accordi del 2021 e dello scorso gennaio (Extended Fund Facility e Extended Credit Facility) per un prestito complessivo di circa 3,9 miliardi di dollari.
Accordi soggetti a revisioni periodiche, per verificare che Nairobi stia effettivamente facendo ciò che il FMI vuole. Cosa che, per ora almeno, non sta avvenendo.