Il capo di stato del Burkina Faso, Ibrahim Traoré, è tornato a tuonare contro alcuni dei paesi vicini e le potenze «imperialiste» (leggi Francia). Ha attaccato la Costa d’Avorio per essere ancora alleata all’ex-patron coloniale. E soprattutto perché ad Abidjan, la capitale economica ivoriana, ci sarebbe «un centro di operazioni per destabilizzare» il Burkina. «Vi forniremo le prove fisiche» ha assicurato Traoré di fronte alla folla accorsa a sentirlo al palazzo dello sport di Ouagadougou, la capitale burkinabè.
Discorso altrettanto duro nei confronti del Benin, reo ai suoi occhi di ospitare «due basi francesi», nella parte settentrionale, che funzionerebbero da «centro di operazioni per terroristi». Da lì partirebbero attacchi regolari contro il Burkina Faso. Le accuse fanno eco a quelle lanciate il mese scorso dal Primo ministro nigerino Ali Mahaman Lamine Zeine nei confronti del Benin. Anche in quel caso, non erano state portate prove a supporto.
Finora nessuna reazione ufficiale da parte di Francia e Costa d’Avorio. Mentre il Benin ha risposto tramite il portavoce del governo. In un comunicato diffuso sui social media, Cotonou ha definito le accuse come disinformazione nauseabonda che «alimenta il rancore delle popolazioni e minaccia la coesistenza pacifica tra i popoli». Il documento aggiunge anche che la maggior parte degli attacchi terroristici in Benin erano stati eseguiti da jihadisti provenienti dal Burkina Faso e dal Niger.
Le dichiarazioni di Traoré arrivano in un quadro di alta-tensione diplomatica nella regione, con la divisione sempre più netta tra due blocchi: da un lato, la neo-formalizzata Alleanza degli stati Saheliani (Aes), composta dalle tre giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger; dall’altra i paesi membri della Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentali (Cedeao).
Piani per il prossimo quinquennio: dalla lotta al terrorismo alla revisione delle licenze minerarie
Tornando al discorso di Traoré: in un’orazione di più di un’ora e mezza e condotta a braccio, aveva il compito di indicare le grandi linee del suo governo per gli anni a venire. Era la prima volta che si cimentava in questo compito, da quando le assise nazionali di fine maggio gli avevano affidato il potere per un altro quinquennio. Una decisione criticata come antidemocratica e autoritaria da varie organizzazioni internazionali e dall’opposizione burkinabé.
Tra i punti centrali della sua arringa: la conferma della volontà di guerra frontale alle forze terroristiche di matrice jihadista che controllano circa metà del territorio nazionale. Per Traoré «non c’è alleanza possibile con i terroristi, non c’è alleanza possibile con i criminali. O li combattiamo, o ci combattono. E noi abbiamo optato per combatterli. Ed è così che diventeremo liberi e che saremo realmente indipendenti.»
Il Burkina è alle prese con un’insurgenza jihadista che dal 2015 ha causato più di 10,000 morti e 2 milioni di sfolati interni. Una crisi umanitaria che un recente report del Consiglio norvegese per i rifugiati ha definito come la più negletta nel mondo.
Sul lato dell’economia, per la prossima settimana, Traorè ha annunciato la discussione in Parlamento di una legge per la revisione delle licenze nel settore minerario. Che in Burkina significa soprattutto oro, dato che ne è il quarto produttore in Africa e il 37% delle esportazioni nel paese riguardano il metallo prezioso.
Anche qui, domina la logica anti-imperialista: l’idea di fondo è togliere le licenze ai paesi considerati predatori (che per Ouagadougou sono gli occidentali) e concederle a quelli che stanno aiutando il Burkina Faso nella sua lotta per l’indipendenza, come Russia e Turchia, con cui l’alleanza politica, militare e logistica si è rafforzata nettamente dalla presa di potere di Traoré nel 2022.