Nigeria: un flop l’esenzione tributaria per le grandi imprese
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Il “disordinato” regime fiscale nel paese sta provocando danni all’economia e alle famiglie
Nigeria: un flop l’esenzione tributaria per le grandi imprese
Da 20 anni una legge consente alle aziende che dimostrano di intraprendere un’attività pionieristica nel loro settore di non pagare tributi. Tra queste c’è anche il gruppo guidato dal miliardario Aliko Dangote. Negli ultimi cinque anni persi quasi 10 milioni di dollari di entrate
22 Luglio 2024
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 6 minuti

È considerata una delle più grandi economie dell’Africa subsahariana ma rischia il collasso a causa della scarsa riscossione delle tasse e di una politica economica quantomeno “disordinata”. Parliamo della Nigeria che – secondo gli ultimi dati forniti dalla Commissione Finanze del Senato – negli ultimi cinque anni ha perso qualcosa come 17 trilioni di naira (circa 9 milioni e 700mila euro) a causa delle esenzioni fiscali.

Esenzioni che sono garantite ad aziende che dimostrino di essere pioniere nel loro settore in base ad una legge del 2004 – l’Industrial Development Income Tax Relief Act – alla quale nel 2017 sono state aggiunge ulteriori linee di applicazione. Già da febbraio scorso la Commissione per gli stanziamenti del Senato aveva richiesto di bloccare tale esenzione fiscale o di prendere in considerazione un sistema di sconti come alternativa.

In tale regime di esenzione rientrano molte grandi imprese e industrie che operano nel paese, compresa la Dangote Industries, conglomerato di aziende il cui core business è la produzione di cemento, guidate dal miliardario Aliko Dangote che per anni si è aggiudicato il “titolo” di uomo più ricco del continente con un patrimonio pari a 15.6 miliardi di dollari nel 2023.

Ed è di questi giorni la notizia che un tribunale tributario del paese ha stabilito che i profitti dalla Dangote Industries Limited, considerati “pionieristici”, non sono soggetti all’imposta sul reddito. I giudici hanno quindi annullato un accertamento fiscale di 11 miliardi di naira (6 milioni e 400mila euro) che erano stati richiesti alla Dangote dal Federal Inland Revenue Service (FIRS).

Intanto, c’è molta confusione sull’accertamento delle tasse, chi deve pagarle e chi è considerato esente. Secondo quanto riportato da The Whistler, sono ancora all’esame 213 domande di esenzione fiscale di altrettante società. A doversi esprimere è la Commissione nigeriana per la promozione degli investimenti.

L’incentivo per lo status di pioniere delle aziende è dunque un’esenzione fiscale – che può essere totale o parziale – garantita per un certo numero di anni e ha l’obiettivo di favorire e incrementare la crescita economica e gli investimenti all’interno del paese.

Ma non sono pochi ormai quelli che criticano una norma di cui, molti dicono, si sta approfittando. Non a caso tra le ragioni del ritardo nella concessione dell’approvazione c’è l’incapacità di alcune delle aziende di fornire ulteriori informazioni richieste dal governo a sostegno delle domande di esenzione. O l’incapacità di alcune società di informare la Commissione sulla data di decollo del richiesto accordo di partenariato pubblico-privato.

Ci sono domande in sospeso dal 2019 in poi. In generale si tratta di aziende impegnate in settori come l’agricoltura, petrolio e gas, infrastrutture, tecnologia. Inoltre, rappresenta un vero e proprio paradosso il fatto che mentre si ritarda l’approvazione degli incentivi, molte aziende stanno lasciando la Nigeria a causa di difficoltà economiche, sottolinea ancora The Whistler.

E c’è chi sta cominciando a vendere le sue partecipazioni. È accaduto per esempio con l’azienda di bevande Diageo che ha venduto la sua partecipazione del 58,02% in Guinness Nigeria alla Tolaram Group, holding con sede a Singapore.

Ad oggi in Nigeria vengono riscossi 62 tipi di tasse ma solo 8 su 62 hanno rappresentato il 97% degli introiti. Il resto non è mai arrivato nelle casse dello Stato. Insomma sembra proprio che il regime fiscale nel paese stia provocando danni all’economia così come alle famiglie.

Ad oltre un anno dall’insediamento di Bola Tinubu le cose non sembrano andare per il verso sperato e promesso. E in molti considerano il suo il mandato presidenziale il più debole dal ritorno del governo civile democratico nel 1999.

Al momento l’inflazione è pari al 34.19%, il tasso più alto dal marzo del 1996 e il costo del cibo è salito del 40,53%, un balzo enorme rispetto al 25,25% di giugno 2023.

A incidere sulla vita delle persone è anche la perenne fluttuazione della valuta. A maggio 2019 il sistema di cambio garantiva un salario minimo mensile di 30mila naira (77 euro), a maggio 2023, quando Tinubu è diventato presidente, era già sceso a poco più di 59 euro e oggi equivale a solo 18 euro.

Una realtà esacerbata dalla dipendenza dalle importazioni poiché la maggior parte dei beni essenziali, inclusi cibo e medicine, vengono importati. Fin da subito il governo Tinubu è stato segnato dall’annuncio di un pacchetto di misure di austerità, inclusa la rimozione del sussidio sul carburante.

Ricordiamo che il paese è il più grande esportatore di petrolio ma paga alti prezzi di importazione, data la capacità di lavorazione cronicamente bassa. La rimozione dei sussidi si ritenne anche necessaria poiché tra il 2005 e il 2021, la Nigeria aveva speso oltre 13 trilioni di naira solo per questa voce. Il 40% delle entrate del paese, nel 2022.

L’idea era quella di utilizzare i fondi verso migliori investimenti. Ma le cose non sembrano andare per il verso sperato. I sussidi sono stati poi reintrodotti nel maggio scorso, ma secondo il Fondo Monetario Internazionale finiranno per assorbire quasi la metà delle sue entrate petrolifere previste per quest’anno.

Nel frattempo, interviene la Banca Mondiale che pochi giorni fa ha approvato un prestito di 2,25 miliardi di dollari per aiutare a stabilizzare l’economia e aumentare il sostegno alle persone in stato di povertà. Se gli organismi finanziari internazionali coprono le falle queste comunque continuano ad allargarsi da altre parti.

Un nuovo sondaggio sulla corruzione condotto dall’Ufficio nazionale di statistica mostra che i funzionari nigeriani hanno ricevuto lo scorso anno tangenti in contanti dai cittadini per 1,3 miliardi di dollari (721 miliardi di naira). Un importo che equivale allo 0,35% del PIL, a detta dello stesso ufficio di presidenza.

Primi della lista a chiedere e ottenere pagamenti in denaro sono i giudici (circa 19 dollari pagati in media a persona), seguono i funzionari doganali e dell’immigrazione (circa 11 dollari a persona) e poi gli agenti di polizia, infermieri, medici e persino insegnanti.

Oltre la metà (53%) dei nigeriani intervistati ha detto di aver pagato una tangente per ottenere il passaporto, il 40% per ottenere licenze commerciali e il 31% per le patenti di guida. Tutto questo in aggiunta alle tariffe dovute. Una piaga aperta quella della corruzione in Nigeria. E a guarirla non bastano i proclami.

Ma torniamo al punto da cui stiamo partiti: rimettere mano alle politiche economiche “non in modo semplicistico” – suggerisce qualche esperto – deve essere una priorità per questo governo. In caso contrario la situazione non migliorerà di certo e non basterà avvantaggiare le imprese “pioneristiche” per tenerle a casa e incrementare così lo sviluppo dell’economia.

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