Nigeria: Dangote striglia la «mafia del petrolio» - Nigrizia
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Guerra di dichiarazioni tra l’uomo d’affari nigeriano e due delle principali agenzie governative del settore petrolifero
Nigeria: Dangote striglia la «mafia del petrolio»
L’uomo più ricco d’Africa accusa le autorità statali nigeriane di voler «sabotare» la sua raffineria, rendendogli difficile l’approvvigionamento di greggio. L’industria petrolifera nazionale reagisce con impaccio. Il presidente della Nigeria (e ministro del petrolio) Tinubu per ora tace
25 Luglio 2024
Articolo di Roberto Valussi
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Il magnate nigeriano Aliko Dangote durante un incontro all'African investement Forum - foto Flickr

È di una rara crudezza la guerra di dichiarazioni tra l’uomo d’affari nigeriano (nonché uomo più ricco d’Africa) Aliko Dangote e due delle principali agenzie governative del settore petrolifero delle ultime sei settimane. Al centro delle discussioni: la difficoltà di approvvigionamento di greggio per la raffineria di Dangote, un impianto da 20 miliardi di dollari inaugurato nel maggio scorso. 

La tensione tra i due fronti esisteva da tempo. A portarla alla luce del sole è stata una dichiarazione dell’imprenditore a metà giugno scorso, in cui sosteneva che «la mafia locale e straniera ha tentato svariate volte di sabotare la raffineria per impedirle di entrare in funzione». Tale «mafia del petrolio» – formata da società statali e compagnie internazionali attive in Nigeria – gli impedirebbe di ricevere il greggio da raffinare. 

Per il magnate, il motivo del sabotaggio risiede nella volontà dell’industria petrolifera locale di conservare la modalità consolidata di fare affari. Una modalità che consiste nel vendere il greggio alle compagnie petrolifere internazionali in modo opaco, con ampi profitti illeciti per i quadri dirigenti coinvolti. L’entrata in gioco della struttura targata Dangote rischierebbe di compromettere questi interessi. 

La raffineria hub 

Che qualcosa dell’ordine costituito sarebbe stato smosso era prevedibile. La raffineria nasce con l’ambizione di porre fine alla contraddizione numero uno della Nigeria: essere il primo produttore di greggio del continente (primato che si contende con l’Angola da qualche anno) e dover importare praticamente tutti i prodotti petroliferi derivati. Di raffinerie nel paese, infatti, ce ne sarebbero già quattro. Ma da tempo sono tutte ‘’moribonde’’, per ricorrere all’aggettivo con cui la stampa locale è solita qualificarle. L’impianto all’avanguardia di Dangote, invece, ha una capacità di produzione di 650,000 barili di carburante al giorno. Abbastanza per soddisfare l’intero mercato nazionale e lasciare un 40% di prodotto per l’esportazione. Al momento, la raffineria produce 350,000 barili al giorno. Entro la fine dell’anno punta ad arrivare a 550,000

Sarebbe un risvolto più che positivo, soprattutto visti i tempi di grave crisi economica per la Nigeria. Il paese si troverebbe con un carburante molto più economico. Una differenza non da poco, soprattutto da quando il Presidente nigeriano Bola Tinubu ha rimosso i sussidi al carburante un anno fa. Da allora il costo di benzina e consimili alla pompa è aumentato in modo significativo, contribuendo ad un forte innalzamento del costo della vita. 

Accuse, contro-accuse e ritorsioni

Nell’arco dell’ultimo mese, Dangote ha rincarato la dose, creando una serie di botta e risposta con due attori legati al governo, l’Autorità regolatoria del Midstream e Downstream (NMDRA), e la Società nazionale nigeriana per il petrolio (NNPC). Il magnate ha prima accusato la parte governativa di importare del cosiddetto dirty fuel, del carburante con un tenore di zolfo ben al di sopra dei limiti consentiti. Accusa negata e rispedita al mittente.

In seguito è passato a posizioni più concrete, annunciando la diminuzione delle azioni della NNPC dal 20% al 7,2% (in virtù di pagamenti arretrati non assolti dalla società). Ha poi concluso il tour di ritorsioni annunciando il ritiro del suo investimento nella costruzione di una acciaieria in Nigeria; non una cosa da poco, insomma. Per assicurarsi il greggio di cui ha bisogno, ha anche spiegato che sta già ricorrendo a venditori negli Stati Uniti e in Brasile. E che punta a prenderlo dalla Libia, l’Angola e altri paesi africani. 

In attesa di vedere chi vincerà la battaglia dell’approvvigionamento energetico, lo scontro comunicativo è tutto a favore di Dangote. A prendere le sue parti sono stati tanto la popolazione locale, quanto nomi influenti del mondo finanziario ed economico. Tra questi il suo connazionale e Presidente della Banca africana di sviluppo, Akinwumi Adesina, secondo cui «l’intera denigrazione di Dangote è ingiustificata. È autodistruttiva. Ed è molto negativa per la Nigeria. Chi vorrà venire a investire in un paese che denigra e sminuisce il proprio più grande investitore

L’ombra di Tinubu

Il governo nigeriano ha tentato di intervenire timidamente nello scontro in atto solo ad inizio settimana. Lunedì, il Vice-ministro delle risorse petrolifere Heineken Lokpobiri ha fatto incontrare le parti in causa per un primo dialogo. Invece, non si sono avuto segni di vita dal Ministro vero e proprio, nonché Presidente della Nigeria, Bola Tinubu, che ha voluto per sé questo ministero chiave sin dall’inizio del suo mandato un anno fa. 

Il suo silenzio attira sospetti. Alcuni lo interpretano come un voler restare fuori dalla lotta nel fango, delegando la risoluzione ai suoi vice. Altri ipotizzano un certo distacco da Dangote. I rapporti tra i due pesi massimi nigeriani (uno economico, l’altro politico) hanno conosciuto negli ultimi mesi perlomeno due segni di frizione evidenti. A inizio anno, l’agenzia statale anti-corruzione ha perquisito i locali del gruppo Dangote a Lagos (e di un’altra cinquantina di società), all’interno di un’indagine su operazioni di cambio valuta fraudolente, orchestrate dall’ex-governatore della Banca centrale della Nigeria, Godwin Emefiele.

Quest’ultimo era stato rimosso dal suo incarico e accusato di frode nelle prime settimane successive alla vittoria alle elezioni presidenziali di Tinubu. La perquisizione non ha riscontrato alcuna violazione negli uffici di Dangote, che di certo non ha gradito una mossa del genere, vista come inappropriata per una figura del suo calibro. 

La seconda frizione è avvenuta nel mese di maggio. Lì è stato il turno di Dangote di risultare irritante, con una dichiarazione in cui criticava un’altra decisione chiave della presidenza Tinubu, quella di svalutare la naira, la moneta locale, per pareggiare il tasso ufficiale e informale del cambio rispetto al dollaro. Dangote si era allora unito al coro di voci di chi lamentava un duro colpo per le attività imprenditoriali. 

Se il miracolo economico della raffineria si compirà, dipenderà molto dall’intesa tra questi due leader.  Al momento se ne vede ben poca. Ma a giudicare dal tono delle polemiche, altre carte verranno messe sul tavolo a breve. 

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