Sudan: attacco con droni su una base militare. Illeso al-Burhan
Conflitti e Terrorismo Sudan
Il capo dell’esercito è scampato a un duplice attacco nella base di Gibet, nell’est del paese
Sudan: attacco con droni su una base militare. Illeso al-Burhan
01 Agosto 2024
Articolo di Redazione
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Al-Burhan alla cerimonia nella base di Gibet (Credit: Forze armate sudanesi)

Ieri mattina in Sudan il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo delle Forze armate (SAF) e leader del Consiglio sovrano, il governo che tiene in pugno il paese, è scampato illeso a un duplice attacco di droni, lanciato durante una cerimonia presso la base militare di Gibeit, a circa 100 km dalla capitale de facto, Port Sudan, nello stato orientale del Mar Rosso.

L’attacco, che ha causato la morte di cinque persone (due sue guardie del corpo e tre cadetti), è avvenuto il giorno dopo l’annuncio della disponibilità – a determinate condizioni – a partecipare a colloqui per un cessate il fuoco in programma dal 14 agosto in Svizzera, con la mediazione di Stati Uniti e Arabia Saudita.

In un post su X Pasha Tapiq, consigliere del leader delle Forze di supporto rapido (RSF) – in guerra contro le SAF dal 15 aprile 2023 – Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, ha negato che la forza paramilitare fosse responsabile dell’attacco, che attribuisce invece alla brigata islamista El Baraa Ibn Malik – gruppo armato legato al regime del deposto presidente Omar El Bashir – come intimidazione “nel caso in cui Burhan accetti di inviare la delegazione dell’esercito ai negoziati di Ginevra”.

“È un chiaro messaggio della corrente di guerra all’interno del Congresso nazionale e del Movimento islamico guidato da Ali Karti”, scrive Tapiq. “Ci aspettiamo di vedere liquidazioni e assassinii all’interno dei leader”.

Un avvertimento al quale sembra aver risposto al-Burhan, che subito dopo l’attacco, rivolgendosi ai militari, ha detto che l’esercito non deporrà le armi «finché il paese non sarà ripulito da ogni ribelle e mercenario», e che «continuerà a schiacciare ed eliminare la milizia terroristica della famiglia Dagalo».

«Non ci ritireremo né ci arrenderemo – ha poi aggiunto – e non negozieremo con nessuna parte, non importa quanto a lungo continuerà la nostra battaglia con il nemico».

Nessun negoziato diretto con le RSF, dunque, ma l’apertura al dialogo è stata confermata poco dopo dallo stesso generale che si è rivolto direttamente all’inviato delle Nazioni Unite in Sudan, Ramtane Lamamra, esortandolo a non «adottare alcuna visione dei ribelli» e a consultarsi con il governo su qualsiasi iniziativa di pace. Al-Burhan ha poi ribadito che tali negoziati devono riconoscere la sovranità del governo sul Sudan e sui suoi territori.

Ed è questa una delle condizioni poste dal governo per l’adesione ai negoziati, assieme all’attuazione della Dichiarazione di Jeddah, che prevede del ritiro completo e la fine dell’espansione da parte delle RSF, che al momento controllano 8 delle 18 capitali di stati-regione, tra cui Khartoum, e si stanno espandendo ulteriormente nel sud-est del paese.

La Dichiarazione di Jeddah è un accordo raggiunto lo scorso maggio in Arabia, nel quale i due belligeranti si impegnavano a garantire la protezione dei civili e a facilitare la consegna degli aiuti. Accordo rimasto del tutto inattuato.

Dallo scorso aprile le RSF hanno fatto sempre più ricorso ai droni per colpire le zone controllate dall’esercito, ma non hanno mai rivendicato la responsabilità degli attacchi, che si sono intensificati in questi mesi.

Negli ultimi giorni, i droni hanno colpito Kosti, Rabak e Kenana nello stato meridionale del Nilo Bianco, Ad Damir, capitale dello stato del Fiume Nilo, così come al-Damer, a nord della capitale.

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