Se la massiccia presenza della Cina in Africa dal punto di vista finanziario e degli investimenti è cosa nota, meno conosciuto e meno approfondito è l’esportazione del modello politico. Un programma portato avanti attraverso la formazione di partiti e dirigenti africani.
Ai più esperti che potrebbero obiettare che la Cina ha costruito o sostenuto centri educativi per i membri dei partiti africani sin dagli anni ’60, bisogna far presente che la realtà odierna è assai diversa. Oggi il collegamento diretto con il partito comunista cinese è alla base di centri, scuole, programmi di natura ideologica.
A riflettere ampiamente il cambiamento l’inaugurazione, nel 2022, della Mwalimu Julius Nyerere Leadership School di Kibaha, in Tanzania. La scuola che porta il nome del padre fondatore del paese.
Si tratta di un progetto congiunto del Partito Comunista Cinese (PCC) e di sei ex movimenti di liberazione dell’Africa meridionale: Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (MPLA), Fronte di liberazione del Mozambico (FRELIMO), Organizzazione popolare dell’Africa sudoccidentale (SWAPO) della Namibia, Chama Cha Mapinduzi (CCM, o partito rivoluzionario) della Tanzania, African National Congress (ANC) del Sudafrica e Unione nazionale africana dello Zimbabwe – Fronte patriottico (ZANU-PF).
Partiti che fanno parte della coalizione degli ex movimenti di liberazione dell’Africa meridionale (FLMSA). Ricordiamo che la Cina sostenne sia militarmente che ideologicamente i movimenti di lotta per le indipendenze.
Tale scuola è la prima nel suo genere a rivolgersi ai partiti politici africani e rappresenta la controparte dell’analoga iniziativa, China-Africa Institute. Fondato nel 2019, con sede presso l’Accademia cinese delle scienze sociali a Pechino e l’Unione Africana ad Addis Abeba.
Il nome dato alla scuola di partito del PCC è Accademia Nazionale Cinese di Governance (ACG). Queste accademie agiscono come partenariati di formazione in vari paesi africani: dall’Algeria all’Etiopia, dal Kenya al Sudafrica.
Ci sono poi scuole che opereranno a livello nazionale, come la Herbert Chipeto School of Ideology in Zimbabwe che il presidente Emmerson Mnangagwa si è detto pronto a inaugurare nel giro di mesi. In sostanza si tratta di una scuola di ideologia del partito al potere, lo ZANU-PF.
La scuola che già esisteva negli anni Sessanta, era stata sciolta dopo l’indipendenza dello Zimbabwe nel 1980 e ora riprenderà ad operare con il sostegno della Cina. Così come avviene per le scuole locali di partito dei sei paesi che fanno parte del FLMSA.
Sostegno, viene sottolineato, richiesto dagli stessi leader di partito africani. Anche l’United Democratic Alliance (UDA), partito al governo in Kenya – nel corso di una visita ufficiale a maggio scorso – ha chiesto al PCC di realizzare una scuola di leadership nella nuova sede del partito.
E nel 2018 era stata la leadership ghanese a usufruire della formazione politica del PCC. Negli anni, seguendo le direttive del presidente e segretario Xi Jinping, sono dunque aumentate le relazioni tra i funzionari del grande partito cinese e i leader o i quadri africani.
Supremazia del partito unico
Ma cosa si insegna principalmente in queste scuole di partito? Secondo gli analisti la formazione enfatizza la supremazia dei partiti sullo stato e sul governo, concetto evidentemente in contrasto con il quadro democratico multipartitico richiesto dalla maggior parte delle costituzioni africane e delle convenzioni dell’UA.
Ed anche in contrasto con una società in cui il multipartitismo è chiamato ad accogliere e rappresentare le diverse istanze delle popolazioni. Non in contrasto però con la tendenza di alcuni leader africani a rimanere al governo per decenni e creare in sostanza una situazione di partito unico, che finisce per rappresentare una facciata per quello che di fatto è un governo autoritario.
Come ricorda Africa Center, la Costituzione cinese descrive il governo come una “dittatura democratica popolare”. Un ossimoro, a dir poco, tuttavia popolare tra i partiti al potere in Africa che desiderano prolungare la loro longevità.
Nonostante la crescita economica, il modello politico cinese non sembra comunque piacere ai cittadini africani. Come ha evidenziato un sondaggio di Afrobarometer, quasi l’80% di loro rifiuta l’idea di governo del partito unico e aspira invece alla democrazia.
I programmi di formazione del PCC all’estero sono fortemente orientati alla cattura delle élite, che, dal canto loro, sembrano ansiose di sfruttare i loro legami con la Cina per consolidare il proprio potere.
Non c’è dubbio, comunque, che la linea labile tra partito e stato in Cina riflette la medesima situazione in alcune parti dell’Africa, dove gli interessi del partito al governo si confondono, appunto, con quelli dello stato e del leader che lo rappresenta.
Le scuole del partito hanno cominciato a funzionare sia in Cina che nella ex Unione Sovietica a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. Oggi in Cina di scuole così ce ne sono circa 3mila sparse in ogni angolo del paese.
Si fa notare che il modello cinese di autoritarismo frammentato ha la caratteristica di garantire molta autonomia alle strutture statali periferiche purché non si allontanino dal controllo del partito.
Si favorisce quindi il “leader forte”, che può distribuire favoritismi e impedire la formazione di altri centri di potere, una disposizione che molti sistemi africani condividono con la Cina.
Il timore, inoltre, è che un partito fortemente centralizzato si allontani sempre più dai cittadini e dai reali bisogni di questi ultimi.