La notizia della morte di padre Giuseppe Messetti, missionario comboniano di 72 anni originario di Caprino Veronese (Verona) per 40 anni in servizio in Perù, ha sorpreso molti confratelli e tantissimi suoi amici.
Il suo corpo è stato rinvenuto il 31 agosto dalla polizia in un dirupo non lontano dal piccolo lago di Carbuncusana. Padre Giuseppe doveva essere caduto in seguito ad un malore o a una scivolata lungo l’impervio sentiero che stava percorrendo.
Il fuoristrada di padre Giuseppe era stato trovato sul bordo della strada, parcheggiato in modo normale e non lontano dalla sua parrocchia di Palca, sulla strada tra Ricran e Tambillo.
Era noto che il padre aveva passione per le passeggiate e amava scattare foto dei monti circostanti. Il sospetto che fosse successo qualcosa i confratelli della sua comunità lo ebbero allorché il 29 agosto non rientrò per celebrare verso sera l’Eucaristia all’orario fissato.
Prima di entrare tra i comboniani, padre Messetti aveva studiato nel seminario diocesano di Verona diventando prete e offrendo il suo servizio pastorale nelle parrocchie di Sant’Ambrogio di Valpolicella e Golosine.
«Solo due settimane prima del tragico incidente – racconta don Andrea Mascalzoni, parroco di Dossobuono, già suo compagno di seminario – padre Giuseppe, con la giovialità e il senso dello humor che lo caratterizzava aveva detto: “Meglio soli che male accompagnati”, replicando a un amico veronese che lo consigliava, al telefono, di stare attento e di non avventurarsi da solo sulle alte montagne delle Ande».
Come menzionato, padre Giuseppe era un missionario entusiasta della propria vocazione, come aveva manifestato a tutti prima della sua ripartenza per il Perù dopo aver subìto un intervento cardiaco dal quale si era ripreso in modo soddisfacente.
«La sfida che abbiamo è di costruire una Chiesa più aperta, anche grazie al nuovo orientamento offerto da papa Francesco», aveva più volte dichiarato.
«Quando arrivai negli anni Ottanta i cattolici erano l’85-90%, oggi sono scesi a meno del 70%, perché dobbiamo fare i conti con le sette che arrivano dal Nordamerica. Noi, tuttavia, siamo impegnati non solo ad essere Chiesa, ma anche a difendere il territorio, la popolazione indigena, a impedire la deforestazione e a promuove valori morali ed evangelici», amava dire.
Quando necessario denunciando quello che per lui era il problema più grave del Perù, oltre al narcotraffico, la corruzione a vari livelli: politici, militari, e il depauperamento della popolazione e dell’economia da parte delle grandi multinazionali straniere.
I tantissimi fedeli peruviani che lo hanno apprezzato, conserveranno cara la sua memoria, e la sua vita, spesa per il popolo che amava, rimarrà la testimonianza più efficace del suo servizio, fino alla completa donazione di se stesso.