È giunto il grande giorno, per quanto le previsioni lascino poco spazio a sorprese: domani, 7 settembre, si terranno in Algeria le elezioni presidenziali.
Segnata da un’ondata di nuovi arresti e fermi in custodia cautelare, il 3 settembre si è conclusa la campagna elettorale iniziata il 15 agosto e che ha visto protagonisti l’“indipendente” Abdelmadjid Tebboune, Abdelaali Hassani Cherif del partito di destra Mouvement de la société pour la paix (MSP), unica formazione islamista del paese, e Youcef Aouchiche, primo segretario del Front des forces socialistes (FFS).
«Queste elezioni sono un non-evento, nel senso che sappiamo già che Tebboune tornerà in gioco, verrà rieletto. I militari, il vero centro del potere, hanno deciso che è adatto, rendendo questo più un plebiscito che un’elezione», racconta a Nigrizia Dalia Ghanem, ricercatrice senior e direttrice del programma Conflict and Transitions al Middle East Council on Global Affairs, sito a Doha.
Nonostante la candidatura dell’ultimo momento, il presidente uscente Tebboune ha potuto contare sul supporto del Front de libération national (FLN), Rassemblement national démocratique (RND), Front El Moustakbal (FM) e Mouvement El-Bina, partiti che con 243 seggi su 407 detengono complessivamente la maggioranza alla camera bassa (Assemblea popolare nazionale).
All’apparenza sembrerebbe, dunque, non mancare il consenso al già presidente, basti guardare i numeri sui social che segnano una distanza netta dagli altri due candidati e i comitati che emergono a suo sostegno. Eppure, la preoccupazione che qualcosa possa sconvolgere i piani prestabiliti dal pouvoir persiste.
«Penso che il regime con queste elezioni stia voltando pagina una volta per tutte sull’Hirak, non permettendo che un qualsiasi tipo di instabilità possa insediarsi sotto la superficie. Con un secondo mandato, il presidente è nella sua piena “legittimità”, una specie di “guarda, è stato eletto due volte, è legittimo, l’Hirak è finito. Sta nascendo una nuova Algeria”», analizza Ghanem.
Rincara la repressione
L’appuntamento elettorale del 7 settembre è ritenuto da coloro che si battono per i diritti civili, politici e sociali in e fuori dall’Algeria una “masquerade”, una finzione che non innescherà alcun cambiamento.
Già qualche mese fa lo affermava a Nigrizia Karim Tabbou, figura di spicco dell’Hirak e coordinatore del partito non riconosciuto Union démocratique et sociale (UDS). Proprio a quest’ultimo il 19 agosto è stato rinforzato il controllo giudiziario, limitandolo nella possibilità di esprimere pareri a sfondo politico sui social media, concedendo interviste o partecipando a dibattiti pubblici.
Più di una decina di giorni prima era stata la volta di Yacine Mekireche, membro del partito sospeso Mouvement démocratique et social (MDS), arrestato arbitrariamente per alcuni post pubblicati su Facebook con le accuse di “diffusione di incitamento all’odio e discriminazione” e “incitamento a raduni non armati”.
Poi è stato il turno di diversi militanti del partito Rassemblement pour la culture et la démocratie (RCD) in occasione della commemorazione del Congresso di Soummam: organizzato dall’FLN nel 1956, gettò le fondamenta per la liberazione dall’oppressore francese e il futuro stato algerino.
Il 27 agosto ha destato scalpore l’arresto di Fethi Ghares, ex coordinatore nazionale dell’MDS, insieme alla moglie Messaouda Cheballah con le accuse di “offesa al presidente della Repubblica”, “pubblicazione di informazioni false” e “diffusione di incitamento all’odio”. Rilasciati e posti sotto controllo giudiziario, ai due non è consentito esprimere opinioni sui social o parlare con i media fino a elezioni svolte.
Secondo la ricercatrice Ghanem, questo modus operandi è distintivo del regime algerino che «ha storicamente utilizzato la repressione come strumento durante momenti cruciali come le elezioni e i referendum, stringendo la presa e poi allentandola leggermente in seguito. Tuttavia, la repressione impiegata oggi è più calcolata, sottile e mirata rispetto al passato».
A conferma di ciò, dal 29 agosto è sparita la pagina Facebook del Comité national pour la libération des détenus (CNLD), un comitato che dal 2019 informava sullo stato di prigionia dei detenuti d’opinione, principalmente attiviste e attivisti che hanno preso parte all’Hirak.
La “nuova Algeria” adottata come slogan da Tebboune nel corso della campagna elettorale e alla quale avrebbe contribuito durante i suoi quasi 5 anni di mandato, sembrerebbe puntare alla paralisi della vita politica dei cittadini algerini.
Se per partiti all’opposizione come RCD un’azione da intraprendere è dunque il boicottaggio delle elezioni, per il candidato Youcef Aouchiche non è un’opzione da considerare perché bisogna “tornare alla riconquista degli spazi di libertà, di espressione e lavorare per un progressivo cambiamento di calma”.
Quanto questi tentativi saranno efficaci è tutto da vedere, intanto i cittadini vengono caldamente invitati dallo stato algerino a esprimere il proprio voto, anche all’estero dove già dal 2 settembre ci si può recare alle urne adibite dai consolati.