Il nono summit del Forum of Chinese-African Cooperation (FOCAC) di Beijing il 4-6 settembre, sul tema “Unire le forze per promuovere la modernizzazione e costruire una comunità Cina-Africa di alto livello con un futuro condiviso”, è stato per la Cina, nelle parole del ministero degli Esteri, l’evento politico e diplomatico più grande e importante degli ultimi anni.
Erano presenti 53 dei 54 paesi dell’Africa – unico escluso eSwatini per i suoi rapporti diplomatici con Taiwan -, più il presidente dell’Unione Africana, rappresentati ai massimi livelli dai rispettivi presidenti, capi di governo e importanti ministri.
La grande attenzione posta dalla Cina è stata evidenziata dalla diretta e continua presenza del presidente Xi Jinping, che nei giorni precedenti il summit ha anche incontrato privatamente moltissimi presidenti africani.
Il messaggio è chiaro: il continente africano ha per la Cina una valenza strategica, nella cooperazione economica e industriale, in campo commerciale e geopolitico. D’altra parte non è una sorpresa poiché Beijing ha sempre e concretamente proiettato la Belt and Road Initiative (la Nuova via della seta) anche verso il continente africano.
Al summit la Cina si è volutamente dichiarata parte del Sud Globale e membro del gruppo dei paesi in via di sviluppo. Si è posta alla pari dei paesi africani, sostenendo più volte il principio di non interferenza e di non ingerenza nelle loro decisioni e nei loro affari interni.
Di conseguenza, come “primus inter pares” del Sud Globale la Cina ha detto di farsi promotrice degli interessi dell’Africa in tutte le agenzie multilaterali, come il Fondo monetario internazionale (FMI), la Banca mondiale (BM), l’Organizzazione mondiale del commercio, e anche nelle Nazioni Unite.
Sul fronte della cooperazione economica, il presidente Xi ha annunciato investimenti e aiuti finanziari per 50 miliardi di dollari in tre anni in tutti i settori economici del continente, a cominciare con i grandi collegamenti infrastrutturali nei trasporti.
Questi finanziamenti si aggiungono a quelli decisi nel meeting ministeriale FOCAC di Dakar nel 2021 che comprendevano 10 miliardi di dollari di crediti, 10 miliardi di finanziamenti al commercio, 10 miliardi di investimenti da parte delle industrie cinesi e il trasferimento di 10 miliardi di diritti speciali di prelievo del FMI.
La Cina non è un ente assistenziale. È chiaro che ne beneficia moltissimo in termini commerciali, di sfruttamento delle materie prime e alimentari africane. Nel 2023 il commercio totale tra la Cina e l’Africa è stato pari a 282,5 miliardi di dollari, 100 dei quali sono l’export di merci africane verso la Cina.
Molti stati, a cominciare dal Sudafrica, chiedono di bilanciare il commercio aumentando l’export africano. Indubbiamente anche l’Africa ottiene dei vantaggi attraverso la modernizzazione delle sue infrastrutture, strade, ferrovie, porti, reti energetiche, e la partecipazione a una moderna rivoluzione agro-industriale.
Naturalmente tutto ciò ha anche una ripercussione sul fronte della geopolitica e degli accordi politici e sulla sicurezza. Il FOCAC, per esempio, ha dichiarato che riconosce una sola Cina sovrana, senza mai menzionare Taiwan. Ovviamente, ciò avrà anche delle ripercussioni nelle relazioni politiche internazionali.
Un’analisi attenta dei due documenti più importanti del FOCAC, la Dichiarazione di Beijing e l’Action Plan (2025-27), adottati all’unanimità, aiuta a comprendere il tipo di rapporto e di iniziative che si svilupperanno nel prossimo futuro.
La nota più importante è data dal fatto che la Cina e i paesi dell’Africa hanno già creato un’attiva e capillare rete di organismi e piattaforme per tutti i settori di cooperazione, dall’agricoltura all’intelligenza artificiale.
Una rete operativa che dispone di esperti, di regolamenti, di incontri e di progetti. Qualcosa che non esiste tra gli USA e l’Africa, e questo non sorprende, ma che non esiste nemmeno tra l’Europa e il continente africano poiché una genuina azione unitaria europea è sempre minata da interessi ed egoismi tipici del vecchio colonialismo.
Nei due documenti le controparti hanno messo sul tavolo i loro programmi strategici: la Belt and Road per la Cina e l’Agenda 2063 dell’Unione Africana, in particolare il Programme for Infrastructure Development in Africa (PIDA). Si parla consapevolmente di “rafforzare la sinergia”, anche nella prospettiva della nascente area di libero scambio senza dazi, l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), entrata in vigore nel 2019.
Nell’Action Plan sono indicati 10 diversi piani di azione di partnership e sono dettagliate le numerose iniziative da portare avanti, tra quelle già iniziate e quelle nuove. La Cina è già coinvolta in 21 progetti di collegamenti infrastrutturali nel continente africano, nel programma “100 industrie in 1.000 villaggi”.
Si inizierà, tra l’altro, una cooperazione cinese-africana in 100 università, la creazione di 25 centri di ricerca, 50 iniziative industriali con le PMI africane, 30 progetti per l’energia pulita, anche attraverso lo sviluppo di una moderna tecnologia nucleare. La Cina si è impegnata a togliere totalmente i dazi per prodotti importati dai paesi africani meno sviluppati (LDC) con cui ha relazioni diplomatiche.
Vi sono, inoltre, delle novità importanti. Si vuole estendere l’uso di due piattaforme di pagamenti internazionali, alternative allo SWIFT controllato dagli USA: il Pan-African Payment and Seattlement System e il Cross-border Interbank Payment System (CIPS) della Cina, anche attraverso un uso crescente della moneta cinese nelle transazioni finanziarie in Africa. Si intende, inoltre, favorire l’uso delle monete locali africane nei commerci con la Cina e in quelli interni al continente.
Si tratta di due mosse difensive ma di valore geopolitico, oltre che economico e finanziario. Il mondo non occidentale ha sperimentato da tempo gli effetti nefasti delle sanzioni economiche e del blocco dei pagamenti internazionali, attraverso l’esclusione di molti stati dal sistema SWIFT. Secondo il Washington Post, gli USA hanno messo un terzo del mondo sotto sanzioni, tra cui il 60% di tutti i paesi a basso reddito. Oggi più di 15mila sanzioni economiche sono operative.
Molti paesi africani sono già oggetto di sanzioni da parte americana e in generale dell’Occidente, molti altri temono di esserne colpiti in futuro. Il mondo ha visto come negli anni il dollaro sia stato utilizzato come un’arma nei confronti di tutti quelli che non seguono i dettami di Washington.
Ecco perché nel summit e nei documenti ufficiali è stato più volte menzionato il ruolo indipendente del gruppo dei paesi BRICS ed è stato auspicato un suo allargamento verso l’Africa.
In questo contesto è stata molto ridimensionata la polemica, tutta occidentale, sulla dipendenza finanziaria e debitoria dei paesi africani nei confronti della Cina. Si tratta del tanto sbandierato “debt gap”. I prestiti concessi dalla Cina dal 2000, quando il FOCAC fu costituito, al 2020 sono cresciuti di cinque volte raggiungendo il livello di circa 700 miliardi di dollari.
Oggi il 12% del totale del debito pubblico e privato africano è detenuto da creditori cinesi. È una cifra importante ma non tanto da determinare una loro sottomissione ai voleri di Beijing. Anche i due documenti finali affrontano la questione senza patemi. Essi includono proposte di riorganizzazione del debito, anche di parziale cancellazione per i paesi più poveri e di iniziative verso gli altri creditori internazionali per mitigarne la pressione.
D’altra parte, pochi giorni prima, nella riunione del Nuova banca di sviluppo (NDB) dei BRICS a Città del Capo, in Sudafrica, Dilma Rousseff, presidente della banca e già presidente del Brasile, in rapporto al problema del debito aveva affermato che «gli shock esterni, come gli aumenti dei tassi d’interesse nei mercati internazionali e gli eccessivi deprezzamenti delle valute dei paesi emergenti, finiscono per alimentare un circolo vizioso di indebitamento. La discrepanza tra debito in valuta forte e reddito generato dai progetti locali crea una barriera agli investimenti nelle economie in via di sviluppo».
Perciò anche la Banca africana di sviluppo afferma che gli interessi sul debito estero africano sono quasi triplicati in meno di 15 anni, passando da 61 miliardi di dollari del 2010 a 163 miliardi nel 2024.
Il grande problema del debito è altrove. «Secondo le stime della Banca mondiale, le dieci economie sviluppate del pianeta hanno un debito complessivo di circa 87 mila miliardi di dollari. Il finanziamento di debiti pubblici così elevati drena una parte significativa della grande liquidità disponibile sui mercati internazionali», ha sostenuto Dilma. Di fatto li sottrae anche a possibili finanziamenti per i paesi emergenti, compresi quelli africani.
Purtroppo, il summit FOCAC di Beijing è stato quasi del tutto ignorato in Occidente e valutato superficialmente o negativamente. Non è un buon segno nei confronti dei paesi africani. Si dovrebbe fare di tutto affinché l’Africa non diventi ancora una volta il continente dei conflitti e delle distruzioni, dove combattere delle “guerre per procura” come in passato.