Sud Sudan: le elezioni rimandate di altri due anni - Nigrizia
Politica e Società Sud Sudan
Le prime elezioni dall’indipendenza, nel 2011, slittano al dicembre 2026
Sud Sudan: le elezioni rimandate di altri due anni
Il governo di transizione, in carica dal 2020, aveva già posticipato l’attesa votazione, inizialmente prevista nel 2023. I motivi sono gli stessi: i ritardi nel processo di implementazione di quanto stabilito negli accordi di pace del 2018
16 Settembre 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 4 minuti
Il presidente Salva Kiir nel gennaio 2011 (Credit: Al Jazeera English/Flickr/CC BY-SA 2.0 Generic Deed)

Il 14 settembre il governo del Sud Sudan ha approvato la decisione, presa il giorno precedente dalla presidenza e dai partiti politici, di rimandare di due anni le elezioni generali, previste per il prossimo 22 dicembre.

Dunque, le prime elezioni del paese, diventato indipendente nel 2011, si dovrebbero tenere nel dicembre del 2026. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che la chiamata dei cittadini sudsudanesi alle urne è già stata spostata diverse volte.

Contestualmente è stata decisa l’estensione di due anni dell’attuale presidenza, formata dal presidente Salva Kiir, dal primo vicepresidente e capo dell’opposizione Rieck Machar, e da altri quattro vicepresidenti.

Così come è stato esteso il periodo di validità dell’attuale assemblea legislativa – Transitional National Legislative Assembly – formata da 550 membri nominati nel 2021 dai diversi blocchi politici e di potere del paese.

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Non si può dire che la decisione abbia preso di sorpresa la comunità internazionale che si chiedeva da tempo se le elezioni, tenute nelle attuali condizioni del paese, avrebbero potuto essere considerate libere e credibili.

Tra gli altri Jean-Pierre Lacroix, sottosegretario generale dell’ONU per le operazioni di pace, che indicava tra i fattori di rischio l’altro tasso di disoccupazione, i conflitti intra e inter comunitari, rivalità politiche non ricomposte e il flusso di ritornati e rifugiati dal Sudan, in fuga dalla guerra che devasta quel paese, che pesano sulle condizioni di vita già difficili e precarie della popolazione sudsudanese.

Per di più non erano stati portati a termine provvedimenti fondamentali propedeutici al voto, come l’elaborazione di una Costituzione definitiva e il censimento, previsti dall’accordo di pace firmato nel 2018.

Lo stesso Lacroix e altri osservatori paventavano addirittura una ripresa della guerra civile che aveva dilaniato il Sud Sudan dal dicembre 2013 all’agosto 2018 e che in diverse parti del paese aveva lasciato strascichi di forte instabilità, tanto da non poterla considerare ancora del tutto conclusa.

Tanto più che diversi sono i movimenti di opposizione armata attivi nel paese che non hanno mai firmato l’accordo di pace del 2018.

Da mesi è in corso a Nairobi un negoziato, facilitato dal Kenya, conosciuto come Tumaini Peace Initiative (tumaini significa speranza in lingua kiswahili) con l’obiettivo di convincere anche i movimenti non firmatari a sottoscrivere quell’accordo, o comunque un accordo di pace.

La trattativa, che avrebbe dovuto concludersi nell’arco di alcune settimane, va invece avanti a rilento, tra puntualizzazioni e polemiche. Chiaro segno che non sono ancora del tutto maturate le condizioni per un ritorno del Sud Sudan alla normalità di un paese pacificato.

È ora viva la preoccupazione che l’iniziativa di pace, non pressata dall’appuntamento elettorale, possa subire ulteriori ritardi.

Lo hanno espresso i rappresentanti della Troika – Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti, paesi che sostengono in modo particolare l’evoluzione politica del Sud Sudan – che hanno chiarito che sosterranno il posticipo dell’appuntamento elettorale solo se ci sarà il pieno coinvolgimento delle trattative di Nairobi.

Il provvedimento che ha rimandato le elezioni ha suscitato diverse prese di posizione anche nel paese.

Il professor Luka Biong Deng, ben conosciuto accademico e politico sudsudanese, che in passato ha ricoperto il ruolo di ministro per gli Affari presidenziali, si chiede addirittura se le modalità di approvazione della misura abbiano basi legali, stante quanto è scritto nell’accordo di pace.

Edmund Yakani, noto attivista della società civile del paese, ha osservato che l’estensione di altri due anni del periodo transitorio “avrà successo solo se il presidente e il suo primo vicepresidente riguadagneranno la fiducia reciproca e dimostreranno la volontà di lavorare insieme alla transizione del paese dall’instabilità alla stabilità politica”.

Ha sottolineato anche che la volontà di arrivare alle elezioni, e alla fine del periodo di transizione, deve essere dimostrata nell’assegnare i fondi necessari per la realizzazione di quanto previsto nell’accordo di pace. Non si puó non dargli ragione.

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