Il “mai più” istituzionale, detto all’indomani della tragedia del 3 ottobre 2013 a largo di Lampedusa, echeggia sopra un cimitero liquido sempre più abitato di persone che non sono riuscite ad arrivare alle sponde terrestri europee.
Ancora una tragedia infatti abita nel mar Mediterraneo. Sarebbero almeno 12 le persone morte in un naufragio avvenuto a largo dell’isola di Gerba, in Tunisia. Quel pezzo di costa africana da cui si parte meno ma con maggiore rischio.
Un numero incompleto, dato certo solo per l’avvenuto recupero dei corpi. Un numero a cui occorre aggiungere quello di una ventina di persone disperse. Secondo quanto raccontano le 25, messe in salvo dalla guardia costiera tunisina, erano infatti tra le 57 e le 60 le persone migranti nell’imbarcazione naufragata.
Un numero che si aggiunge a quello registrato sabato mattina vicino all’isola di El Hierro, nelle isole Canarie. Qui le persone migranti morte sarebbero almeno 9, quelle disperse 48. Le agenzie raccontano questo naufragio come uno dei più gravi degli ultimi 30 anni in quel pezzo di mare che separa l’Africa dalla Spagna.
In questo caso a bordo dell’imbarcazione c’erano 84 perone provenienti da Mali, Mauritania e Senegal. Sono solo 27 quelle tratte in salvo.
Secondo l’ultimo report di Save the Children, dal 2014 a oggi, le persone morte e disperse nel Mediterraneo sono state in media 8 al giorno, per un numero complessivo enorme: oltre 30.300, 3.030 ogni anno.
La Fondazione ISMU, ricordando il vicino anniversario del 3 ottobre, diventato Giornata della memoria e dell’accoglienza dopo l’ormai famoso naufragio al largo di Lampedusa che costò la vita ad almeno 368 migranti nel 2013, fa presente che, secondo gli ultimi dati OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni, finora sarebbero almeno 1.452 le persone morte e disperse nel Mediterraneo.
Il numero del “mai più” è diventato infinito, finendo per essere una cifra da aggiornare continuamente, in cui sembrano affondare nell’indifferenza totale nomi e vite.