Nonostante i reiterati rifiuti da parte di Egitto e Sudan, il 13 ottobre è entrato ufficialmente in vigore il trattato riguardante il Cooperative Framework Agreement (CFA), il quadro cooperativo per l’uso delle acque del Nilo.
L’implementazione dell’accordo sarà responsabilità di una speciale Commissione per il bacino del Nilo (NRBC), un organismo istituzionale incaricato di promuovere e coordinare la cooperazione tra gli stati beneficiari del bacino nella gestione delle acque.
Il CFA rappresenta il primo sforzo multilaterale da parte degli stati rivieraschi del bacino per dare una struttura giuridica e istituzionale al fine di governare l’uso del fiume.
Mentre sei paesi – Etiopia, Rwanda, Sud Sudan, Uganda, Tanzania e Repubblica democratica del Congo – avevano a suo tempo firmato l’accordo, Egitto e Sudan, come ribadito nuovamente ieri dal presidente egiziano al-Sisi, si sono rifiutati di accettare.
In una dichiarazione rilasciata dopo una riunione della Commissione tecnica congiunta permanente egiziano-sudanese per le acque del Nilo (PJTC), tenutasi la scorsa settimana al Cairo, Egitto e Sudan hanno invitato tutti gli stati del bacino del Nilo “a ripristinare l’integrità dell’Iniziativa per il bacino del Nilo del 1999 e ad astenersi da azioni unilaterali che potrebbero esacerbare le divisioni tra gli stati a monte e quelli a valle”.
La dichiarazione aggiunge: “La Commissione ha ribadito che la NRBC dei sei stati istituita sulla base della bozza incompleta del CFA non può, in nessun caso, essere considerata rappresentativa del bacino del Nilo nel suo insieme”.
Egitto e Sudan, peraltro, sostengono da tempo che il CFA violi gli accordi sul fiume Nilo del 1929 e del 1959.
Il Cairo ha respinto il CFA citando la sentenza della Corte internazionale di giustizia (ICJ) del 1989 secondo cui gli accordi sull’acqua godono della stessa immutabilità degli accordi sui confini: non possono essere revocati o modificati senza il consenso di tutte le parti interessate.
Il PJTC ha affermato che il progetto CFA del 2010 non aveva raggiunto il consenso necessario e non è conforme ai principi stabiliti del diritto internazionale e alle pratiche che promuovono lo sviluppo sostenibile e la cooperazione.
Il primo ministro etiopico Abiy Ahmed, dal canto suo, ha invitato gli stati non firmatari a unirsi allo sforzo, riferendosi all’accordo come la “Famiglia del Nilo”, che incoraggia la cooperazione regionale per l’uso equo delle risorse del fiume.
Come noto, il Nilo è stato da vari anni fonte di tensione, soprattutto tra Egitto ed Etiopia, a causa della costruzione e della messa in funzione della Grande diga della rinascita etiopica (GERD) sul Nilo Azzurro, affluente fondamentale del fiume Nilo.