Moussa ci mancherà, lo sappia Salvini - Nigrizia
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La società che ricorda il ragazzo maliano ucciso il 20 ottobre alla stazione di Verona. La denuncia delle politiche e del linguaggio di un razzismo istituzionale
Moussa ci mancherà, lo sappia Salvini
Tra la rabbia e il cordoglio, sono tanti gli interventi di denuncia di una situazione che alimenta l’odio nel paese. Dalle politiche alle parole. La piazza si stringe attorno al ricordo e rilancia il riconoscimento di un diritto all’umanità
22 Ottobre 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
(Credit: Nigrizia)

«Con tutto rispetto. Non ci mancherà». Era stato questo il commento del vicepremier Matteo Salvini alla morte di Moussa Diarra, il ragazzo originario del Mali, ucciso la mattina del 20 ottobre alla stazione di Porta Nuova a Verona da un agente della PolFer, la polizia ferroviaria. Le trecento persone accorse ieri sera sul luogo hanno mostrato che c‘è un pezzo di società civile cui Moussa mancherà, eccome.

Tanti fiori e tante parole lo hanno dimostrato. Tra la commozione e la rabbia. Perché non si può morire a 26 anni, a distanza da sole due settimane dal proprio padre, lontano dalla propria famiglia, vicino a una comunità che probabilmente non ha saputo cogliere appieno il suo dolore e il suo stato psicologico. E oggi si stringe attonita, ma non muta.

A Verona ieri sera è arrivato il fratello di Moussa, il cugino; si sono stretti gli amici, i ragazzi del Ghibellin fuggiasco che abitavano con lui in una casetta occupata, una parte dell’amministrazione, cittadine e cittadini, la Caritas, la Ronda della Carità, la comunità islamica che Moussa frequentava.

Tante le voci che hanno raccontato chi era e tante che hanno sottolineato come questo ragazzo maliano è stato raccontato.

Intanto come non terrorista. Perché spesso, quando a morire è una persona che viene da un paese prevalentemente musulmano è la prima informazione che ci si sente obbligati a dare. Per quella associazione di idee che autorità e media sembrano fare in automatico.

Perché sarà anche vero che c’è un allarme in questo senso in vari stati europei, ma questa sottolineatura non fa altro che alimentare un pregiudizio, che diffondere un binomio che non ha alcun fondamento.

Una informazione che, anche se si smentisce, continua a fomentare un senso di insicurezza, di paura, un’associazione di idee che non fa certo bene a una società sempre più plurima, per culture e appartenenze.

Se poi il primo a sottolineare che la morte di un ragazzo migrante non sarà una mancanza per la società è un esponente politico che sta al vertice della rappresentanza di un paese, si comprende come il linguaggio istituzionale legittimi la pancia, le viscere più becere di un razzismo che già abita nelle strade e non ha certo bisogno di essere alimentato. Non da chi dovrebbe elevarla la società, non cavalcarne le espressioni più triviali.

Lo sottolinea bene lo stesso don Mattia Malostro direttore della Caritas cittadina, il non riconoscimento dell’umanità nelle persone, solo perché migranti, quando arriva dalla politica diventa ancora più pericoloso.

Se poi, come scriveva ieri Stefano Cappellini su Repubblica, si va oltre i confini dell’odio, utilizzando l’espressione “con tutto rispetto”, come sberleffo che si aggiunge al disprezzo, si comprende che l’umanità viene cancellata e si fa presto ad arrivare a quei “cani e porci” da cui lo stesso ministro dice voler difendere i confini.

Quelle persone trattate come bestie, di cui uno dei ragazzi intervenuti racconta. «Sono stato investito proprio qua davanti, qualche giorno fa, non si sono neanche avvicinati per vedere cosa mi fossi fatto. Sono stato trattato come un animale». Di cui, aggiungerebbe il vicepremier, non si sentirebbe la mancanza.

Per questo, commentando la frase ministeriale, in piazza sono diversi gli interventi che parlano di «razzismo istituzionale», nelle parole come nelle politiche.

Diverse le persone che raccontano del patto Italia-Albania, del prossimo Ddl 1660 sulla sicurezza, perché tutto si tiene durante l’incontro di commemorazione di Moussa Diarra. La sua vita, le difficoltà incontrate tra permessi e accoglienza, le parole del ministro, le leggi già approvate e quelle da approvare.

«Il razzismo istituzionale non capita a caso, non si esprime solo con le parole che Moussa non ci mancherà. È nelle politiche, nelle lunghe file fuori dalla questura che non portano mai a un rinnovo, ma ulteriore attesa, nella deportazione delle persone migranti in Albania, ha tante declinazioni, tutte parte dello stesso disegno», dice la piazza.

Tra le voci la preoccupazione per quella estensione delle armi che è nel decreto Ddl 1660, quell’articolo che permette alle forze dell’ordine una seconda arma, non di ordinanza, da portare con sé oltre l’orario di servizio.

«Noi non vogliamo che la nostra sicurezza si deleghi sempre e solo alle forze dell’ordine, anche fuori turno. La nostra sicurezza sono politiche altre: il diritto alla casa, al lavoro, all’accoglienza, a essere riconosciuti come persone. Senza distinzione tra bianche e nere. Senza privilegi coloniali. Persone di diritto e di diritti».

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