Nelle guerre, la violenza di genere è ancora un’arma di oppressione
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Nuovo rapporto di UN Women: nel 2023 morti femminili raddoppiate e aumentati del 50% i casi documentati di violenza sessuale
Nelle guerre, la violenza di genere è ancora un’arma di oppressione
25 Ottobre 2024
Articolo di Redazione
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Credit: foto di Hamid Abdulsalam, UNAMID

L’erosione del diritto internazionale sta intensificando la strumentalizzazione dei corpi delle donne come veri e propri campi di battaglia nei contesti di guerra, dove la violenza di genere è un mezzo di dominio e oppressione.

A sottolinearlo sono i dati del report 2024 di UN Women. Un quadro angosciante di violazioni che anno dopo anno raggiungono livelli mai visti. Nel 2023, le vittime di genere femminile hanno raggiunto il 40% delle morti totali nei conflitti, raddoppiando i decessi rispetto all’anno precedente.

In un mondo in cui le guerre sono ancora prevalentemente – ma non esclusivamente! – combattute da uomini, questo dato fa riflettere anche su quanto la società civile sia sempre più esposta alle brutalità.  

Nei contesti di guerra, la violenza sessuale è da sempre perpetuata come strumento strategico di umiliazione e terrore e i conflitti contemporanei globali non sono da meno.

In paesi come Sudan e Repubblica democratica del Congo, nel 2023 è stato registrato un aumento del 50% dei casi di violenza sessuale rispetto all’anno precedente, con episodi di abusi di massa contro donne e ragazze.

Queste violenze, perpetrate quasi sempre in un clima di completa impunità, riflettono un sistema legale internazionale che ha perso la capacità di proteggere i diritti umani fondamentali.

Sono casi che rendono evidente un problema spesso ancora opaco agli occhi di chi non si occupa direttamente di violenza di genere: gli abusi non sono solo una violazione individuale, ma un attacco alla collettività e alla stabilità futura di interi paesi e per questo richiedono un’azione e una risposta comunitaria. 

La maternità in tempo di guerra: un rischio mortale

Un altro dato allarmante spesso trascurato è quello della mortalità materna. Nei contesti di conflitto, la probabilità che una donna muoia di parto è di gran lunga superiore a quella di una donna in contesti di pace.

Più del 60% delle morti materne avviene infatti in 35 paesi colpiti da guerre e crisi umanitarie, con una media di 500 donne che muoiono ogni giorno per complicazioni legate al parto.

In Sudan, ad esempio, dove nell’ultimo anno le strutture sanitarie sono state bersaglio di bombardamenti e attacchi di ogni sorta, 2.64 milioni di donne e ragazze hanno bisogno di assistenza sanitaria di base, ma la carenza di medici, medicinali e infrastrutture ospedaliere rende praticamente impossibile garantire loro le cure necessarie.

In tempi di crisi, la sola maternità si trasforma in un rischio esistenziale.

Il peso degli sfollamenti e l’emergenza alimentare per le donne

Le donne rappresentano il 50% degli sfollati a livello globale, e nei contesti di conflitto spesso subiscono discriminazioni nell’accesso alle risorse essenziali, come cibo e alloggi sicuri. 

Nel nord della Nigeria, ad esempio, quasi il 70% delle donne sfollate vive in condizioni di insicurezza alimentare.

Di conseguenza, in molti casi, sono costrette a ricorrere a matrimoni precoci o a rapporti di scambio per ottenere cibo o sicurezza per sé e per le proprie famiglie. Una dinamica che favorisce il proliferare di un ulteriore divario di genere e un’ulteriore normalizzazione di forme di violenza e sottomissione. (AB)

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