Dopo le elezioni presidenziali dello scorso 6 ottobre, lo spazio per il dissenso politico è sempre più marginale nel paese nordafricano. Mentre non accennano a placarsi le discriminazioni verso i migranti.
Ne abbiamo parlato con l’attivista tunisina Henda Chennaoui, tra le principali figure del movimento contro la stretta autoritaria del presidente Kais Saied.
Saied ha il pieno sostegno di Bruxelles. Non solo, molti paesi dall’Ungheria all’Olanda fino alla Polonia, hanno espresso apprezzamenti durante il Consiglio europeo che si è appena concluso per i centri di detenzione aperti in Albania dal governo italiano…
Sì, Saied ha il pieno sostegno dei paesi europei e dell’Unione europea, soprattutto di Italia e Francia. Il presidente francese si è congratulato con Saied quando ha attuato il suo golpe. Macron ha detto che aveva il completo sostegno francese.
Non solo, la premier italiana, Giorgia Meloni, si è detta molto felice di quello che accade in Tunisia in materia di controllo dei flussi migratori. L’Italia sostiene pienamente il nuovo regime tunisino e gli dà sempre maggior credito.
Report recenti dell’Ue sostengono che, malgrado Saied sia un dittatore, almeno c’è maggiore controllo dei confini. In questo modo, l’Ue si è assicurata un alleato straniero come il presidente tunisino, che da sempre si è interessato alle migrazioni e al controllo militare dei confini di mare, di terra e nel deserto. In più, ha sempre voluto favorire gli investimenti stranieri garantendo gli usuali vantaggi, come manodopera a basso costo, industrie inquinanti, tutti vecchi schemi che lasciano la Tunisia in questa situazione economica estremamente precaria.
Tutto questo non sarebbe possibile in un paese democratico. In altre parole, la transizione democratica della Tunisia era in sé un problema, non solo in Tunisia, ma per i nostri vecchi alleati. E non sto parlando solo dei paesi europei, ma anche di Algeria, Egitto e Libia.
Ci saranno mobilitazioni contro il presidente Saied, rieletto con il 91% dei voti?
Penso che quello che ha fatto Kais Saied è più pericoloso che arrestare e mettere in prigione chi manifesta. Quando si attacca l’attivismo politico, quando Saied sostiene che tutti gli oppositori in Tunisia sono manovrati dall’estero, che sono tutti criminali, che complottano contro il paese, si sta riducendo la libertà di espressione dei movimenti di opposizione. Attivismo politico non significa solo scendere in piazza, ma anche avere la possibilità di mobilitare le persone, avere accesso ai media, organizzare incontri politici o conferenze senza avere paura di essere puniti o di possibili violenze.
Queste libertà sono state garantite in campagna elettorale?
Quello che sta facendo Saied è molto subdolo. Prima delle elezioni l’opposizione organizzava proteste, invitava la gente a scendere in piazza e non ci sono state violenze nelle manifestazioni.
Ma allo stesso tempo, stiamo protestando in un’atmosfera di paura, perché le opposizioni sono sotto attacco, tanti sono in prigione per il loro attivismo politico, esponenti della società civile e dei partiti politici. Questi arresti non sono legati a episodi di corruzione o terrorismo come Saied vorrebbe far credere.
La domanda non è se abbiamo ancora la possibilità di scendere in piazza e protestare, anche se continuiamo a farlo nonostante la violenza della polizia e il gran numero di arrestati dopo ogni protesta. La vera domanda è se l’attivismo politico o un’agenda politica diversa da quella di Saied è permessa in Tunisia. L’impressione di tutti, nei movimenti politici e al di fuori di essi, è di vivere in un clima di grande paura.
La nuova Tunisia autoritaria non permette il pluralismo politico e la libertà di espressione. Il solo fatto che abbiamo una legge, come la 45, che criminalizza ogni critica verso le autorità e la loro rappresentazione significa che l’attivismo politico non è libero come prima. E questo è il problema.
Esiste uno spazio per l‘opposizione politica in questo contesto? Per esempio la figura del candidato alle presidenziali, Ayachi Zammel, che è stato arrestato e condannato a 12 anni in campagna elettorale, ha un seguito significativo?
Appartiene alla famiglia democratica tunisina. Ma non ha una lunga carriera politica. È la figura che molti partiti politici di opposizione stavano sostenendo durante le ultime settimane della campagna elettorale. E crediamo che sia in prigione proprio per questo motivo, perché è un possibile oppositore di Saied e poteva, in caso di libere elezioni, rappresentare una minaccia per il suo potere.
Molti altri candidati sono stati arrestati in campagna elettorale. Per esempio, Abir Musi è in prigione perché è molto popolare e ha una base elettorale che può sostenerla. Avrebbe potuto partecipare ad elezioni presidenziali e vincerle, se non fosse in prigione.
Meno di un tunisino su tre si è recato alle urne. I giovani e le opposizioni hanno boicottato queste elezioni?
Non penso si tratti di boicottaggio. Molti non sono andati a votare perché non sono più interessati alla politica tunisina. Non hanno più speranze. Sanno che Saied avrebbe comunque vinto le elezioni. Molti non erano neppure consapevoli che ci sarebbe stato il voto il 7 ottobre. I media di stato hanno dato voce solo a Saied. I tunisini hanno avuto l’impressione, quindi, che non ci fossero altri candidati, che non ci fosse una vera scelta.
Che cosa può fare Saied dopo la rielezione che non abbia già fatto. In questi anni ha messo le mani sul parlamento, sulle opposizioni politiche, sui giudici…
Penso che il prossimo passo sia di arrestare sempre più persone. Se tra qualche mese ci saranno nuove manifestazioni anti-regime perché non c’è cibo sufficiente, non c’è acqua, non c’è elettricità, non c’è lavoro, temo che il regime di Saied possa essere violento e reprimere le persone che scendono in piazza, come ha fatto Ben Ali 15 anni fa. Molti venivano uccisi o venivano messi in prigione solo perché manifestavano pacificamente. Penso che sia la prossima mossa che Saied metterà in campo per proteggere il suo potere. Viviamo in una situazione critica.