Sudafrica: gli afrikaneer in piazza contro la riforma della scuola - Nigrizia
Politica e Società Sudafrica
Infiamma il dibattito sulla scelta delle lingue di insegnamento negli istituti
Sudafrica: gli afrikaneer in piazza contro la riforma della scuola
La parabola della nuova legge sull'istruzione dice molto del paese (a partire dal suo governo di larghe intese)
07 Novembre 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 6 minuti
Foto dalla pagina Facebook di AfriForum

 

 

 

Che lingua parleranno i sudafricani del futuro? E che fine farà l’afrikaans, l’idioma del potere durante gli anni del regime di apartheid che ha retto il Sudafrica con la sopraffazione e la violenza per 30 anni? Le domande non sono banali, in un paese dove le lingue ufficiali sono 12, e sembrano soggiacere a un acceso dibattito in corso su una nuova legge di riforma del sistema dell’istruzione.

La norma è stata approvata dal parlamento e poi siglata dal presidente Cyril Ramaphosa lo scorso settembre. Il capo di stato ha sospeso però l’approvazione di due clausole, la 4 e la 5, che verranno ulteriormente esaminate per tre mesi prima di essere approvate o scartate. Le misure in questione riguardano le modalità di ammissione e di scelta della lingua di insegnamento nelle scuole pubbliche e stanno trovando la decisa opposizione di parte della minoranza afrikaner, coloro cioè che parlano l’afrikaans.

La questione è complessa: interroga il lascito del regime di segregazione razziale ma mette anche in discussione la stabilità dell’esecutivo di unità nazionale che governa il paese dallo scorso maggio mettendo insieme realtà politiche molto diverse. Diversi partiti che compongono il governo di larghe intese, su tutte la Democratic Alliance (DA), seconda forza dell’esecutivo, si sono opposti alla misura, di fatto spingendo il capo dello stato a posticipare l’approvazione delle già citate clausole.

La protesta di Pretoria

Meglio andare per gradi. In settimana migliaia di persone – fino a 10mila secondo gli organizzatori – si sono riuniti nella capitale amministrativa Pretoria per protestare contro il Basic Education Laws Amendment Act 32 (BELA ACT), questo il nome della legge di cui si scrive. La norma, la cui prima bozza risale addirittura al 2013, riforma la legge quadro sull’istruzione del paese, introdotta nel 1996, due anni dopo la fine del regime di apartheid.

La protesta è stata organizzata da 41 diverse organizzazioni fra le quali AfriForum e Solidariteit, rispettivamente un gruppo della società civile e un sindacato. Entrambe queste organizzazioni sono impegnate nella difesa degli interessi della popolazione afrikaner e sono stati accusate da più parti di portare avanti un’agenda apertamente suprematista e razzista.

Le due clausole al centro delle proteste stabiliscono un cambio di competenze in merito alla scelta della lingua di insegnamento e delle modalità di ammissione nelle scuole. Prima questa prerogativa era completamente appannaggio dei cosiddetti organi di governo scolastico, enti che riuniscono genitori, insegnanti e personale non docente. Nell’impianto della nuova legge invece, l’ultima parola spetta agli uffici provinciali del ministero dell’istruzione, che possono anche sovvertire quanto deciso dagli organi di governo.

Le critiche alla legge 

Questo passaggio è quello più contestato dalla comunità afrikaans. La tesi è che in questo modo la scelta della lingua di istruzione rischi di essere scollegata dalle necessità delle comunità e di diventare materia per strumentalizzazioni politiche. Alcune amministrazioni locali poi, come quella della provincia del Gauteng, la più popolosa del paese, sono viste come particolarmente ostili alla lingua afrikaans. Un punto che è emerso chiaramente dalle parole di Flip Buys, presidente di Solidariteit: «I colonialisti contemporanei come Panyaza Lesufi, il premier di Gauteng, e Matome Chiloane, il responsabile dell’Istruzione di questa provincia, stanno cercando di anglicizzare le scuole afrikaans come i colonialisti di un tempo», ha affermato il dirigente a margine della manifestazione dei giorni scorsi.

Utile notare come nessun’altra comunità linguistica fra le altri 11 riconosciute come ufficiali nel paese (fra cui si annoverano l’inglese e la lingua dei segni) abbia avanzato critiche della stessa intensità alla legge. Una delle ragioni, osserva il politologo Rocco Ronza, docente presso l’università Cattolica e Aseri ed esperto di Sudafrica, è che le élite nere puntano sulla sostituzione dell’afrikaans e più in generale di tutte le lingue native con l’inglese, molto più parlato in questa fetta di popolazione. La prospettiva è rendere più accessibile l’accesso a istituti di maggior prestigio e qualità dell’insegnamento, che spesso impiegano l’afrikaans. 

La questione ha molto a che vedere anche con l’identità afrikaaner e con la paura che questa venga gradualmente cancellata. L’afrikaans è a oggi la terza lingua più diffusa del Sudafrica con circa 7 milioni di parlanti, dopo Zulu e Xhosa. 

Il passato di questo gruppo sociale è però ritenuto inscindibile dall’esperienza della segregazione razziale. Un episodio esemplificativo è avvenuto anche durante la marcia di Pretoria: gli organizzatori dell’iniziativa hanno dovuto allontanare un uomo che si era presentato con una bandiera simbolo del regime di apartheid. Ne è derivato uno scontro a suon di comunicati con il COSATU, il più importante sindacato del paese, fondato nel 1985 per unire gli sforzi di una serie di movimenti di lavoratori che si battevano contro il regime.

L’organizzazione sindacale non si è limitata a condannare l’episodio riguardante la bandiera, ma anche riaffermato il suo sostegno alla legge di riforma dell’istruzione. Il provvedimento è visto infatti come un utile strumento di lotta alle disuguaglianze. 

Le tensioni appena descritte trovano origine nella tragica storia recente del Sudafrica ma arrivano fino al governo di unità nazionale, costituito dopo le elezioni dello scorso maggio e dopo che l’African National Congress (ANC) ha perso per la prima volta in 30 anni la maggioranza assoluta in Parlamento. Dirigenti della DA sono scesi in piazza a Pretoria.

Il partito nasce dalla quella parte della minoranza bianca che si è opposta all’apartheid ma resta comunque profondamente legata alla comunità afrikaaner. Il leader della formazione, John Steenhuisen, attuale ministro dell’agricoltura, è intervenuto affermando: «Le clausole 4 e 5 del BELA ACT danno troppa autorità ai governi provinciali e ci tolgono troppi diritti democratici come genitori. Rappresentano un rischio enorme per la splendida diversità di cultura e lingua in Sudafrica».

Contro le disuguaglianze 

La legge gode in realtà del sostegno di larga parte della società sudafricana. La norma anticipa a quattro anni l’età di inizio dell’obbligo scolastico (oggi a cinque), mette definitivamente al bando le pene corporali e introduce sanzioni fino a 12 mesi di carcere nei confronti dei genitori che non assicurano ai loro figli di poter andare a scuola (anche questo passaggio è stato contestato da alcune organizzazioni per la sua severità).

La norma mira a combattere la dispersione scolastica, migliorare la qualità dell’insegnamento e contrastare le disuguaglianze che segnano l’istruzione sudafricana, così come tutta la società. E che ancora continuano a manifestarsi lungo “linee del colore”. Se dal 1996 al 2023 la percentuali di cittadini sudafricani neri con almeno un diploma di scuola superiore è passata dal 9,4% al 34,7%, i dati relativi agli studenti neri sono ancora più bassi di quelli dei compagni bianchi. Più del 38% dei cittadini bianchi ha infatti concluso un qualche tipo di percorso di scuola superiore. Per quanto riguarda la laurea, il 28% degli studenti bianchi riesce a ottenerne una, contro il 5% degli studenti neri. 

 

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