La terza fase delle proteste contro risultati elettorali che le opposizioni ritengono completamente falsati si è appena conclusa. Dopo sette, lunghi giorni di marce che da varie città del paese hanno portato i manifestanti a confluire nella capitale, Maputo, il giorno 7 novembre un popolo in cammino ha provato a scardinare le residue difese di un regime ormai al collasso. Il tentativo, dal punto di vista fisico, non è riuscito: troppo consistenti erano le barriere erette a protezione della “città di cemento”, al cui interno si trovano alcuni luoghi-simbolo, sacrari dell’identità nazionale e istituzionale mozambicana: la presidenza della repubblica, la statua di Eduardo Mondlane e quella di Samora Machel.
Dal punto di vista simbolico e di impatto verso l’opinione pubblica, anche internazionale, nonostante le mura di Gerico non siano cadute, l’effetto è stato notevole, amplificato dalle violenze continue che la polizia ha commesso verso manifestanti che non avevano armi, ma che intendevano marciare pacificamente, agli ordini (ricevuti sempre mediante live su Facebook) di Venâncio Mondlane, leader dell’opposizione e dai tratti ormai profetici, oltre che politici.
Un paese a ferro e fuoco
Ciò che Venâncio Mondlane e i suoi numerosi seguitori hanno ottenuto è stata la completa paralisi del paese. Anche dove le manifestazioni, alla fine, non sono arrivate (nel cuore della capitale), è chiaro che Mondlane ha dimostrato la capacità di fermare il Mozambico, bloccandone qualsiasi attività, chiamando a raccolta un popolo che non è soltanto di disperati: buona parte della classe media e medio-bassa ha aderito a queste manifestazioni, angustiata da stipendi che non arrivano, prezzi dei prodotti di base alle stelle, esclusione sistematica dagli affari che contano e uno stato sociale che è ormai soltanto un lontano ricordo.
Questo inaspettato risveglio di un popolo, quello mozambicano, da sempre ritenuto passivo, sta costringendo anche il partito-stato Frelimo a farci i conti: una prospettiva nuova, che l’élite locale sembra non riuscire a comprendere, né a gestire. Il governo – il cui presidente, Filipe Nyusi, non si pronuncia da giorni rispetto all’attuale situazione – ha infatti risposto col solo strumento noto: repressione, a tutti i livelli. Se, nelle strade, gas lacrimogeni si sono alternati all’uso di armi letali, con bilanci dalle 16 fino alle 34 vittime a oggi, ulteriori restrizioni sono state adottate, chiudendo qualsiasi forma di dialogo: dai collegamenti internet sospesi al blocco dei conti bancari di Mondlane.,
La ministra degli esteri Verônica Macamo, intanto, si è riunita con la comunità internazionale, chiedendo un intervento pacificatore, sulla base del riconoscimento dei risultati elettorali che darebbero una larga e improbabile vittoria a Daniel Chapo, candidato del Frelimo, con oltre il 70% dei voti. Sulla base di queste posizioni, il paese continua in emergenza, e tutte le soluzioni, al momento, sembrano possibili, anche in ragione di una evidente crisi di leadership nel Frelimo.
La comunità internazionale e la mediazione interna
La comunità internazionale (ossia, i paesi occidentali) ha diramato vari appelli alla calma e alla massima limitazione dell’uso della forza e al rispetto dei diritti umani, in primo luogo quello alla vita, insieme al diritto di manifestare pacificamente e liberamente. Sono stati soprattutto alcuni paesi europei, fra cui Svizzera, Norvegia e Regno Unito, insieme a Stati Uniti e Canada, ad assumere questa posizione, in un comunicato congiunto, mentre il responsabile della politica estera dell’UE, Josep Borrell, è anch’egli intervenuto nello stesso senso.
Il dirigente ha chiarito, inoltre, che non vi sarebbero truppe rwandesi in aiuto alla polizia mozambicana per sedare le rivolte popolari a Maputo. Un aspetto assai sensibile, questo, visto che in molti avrebbero notato la presenza di tali truppe, che l’UE ha generosamente finanziato per combattere il terrorismo jihadista a Cabo Delgado, e che sarebbero state in questi giorni dirottate su un terreno che, se confermato, sarebbe del tutto improprio, e metterebbe in crisi tutta l’architettura comunitaria pensata per contenere il terrorismo nel nord del paese.
Vista la grande prudenza della comunità internazionale, magari in attesa di una posizione più esplicita da parte del nuovo inquilino della Casa Bianca, un gruppo di intellettuali, giornalisti, attivisti sociali di primo piano ha assunto una prima iniziativa: un manifesto civico affinché le due parti si parlino, sulla base di alcuni, essenziali punti, quali la separazione fra i poteri dello stato, la limitazione delle prerogative presidenziali, la giustizia elettorale.
Livio Sansone, accademico italo-brasiliano e con vari studi anche sul Mozambico, ha promosso l’internazionalizzazione di questo appello, estendendolo alla comunità civile che opera fuori dal territorio mozambicano, al fine di mettere la massima pressione sulle due parti in conflitto. Nel buio della più irrazionale assenza di dialogo fra le parti, un ponte è stato gettato: le prossime ore diranno se continueranno a prevalere gli egoismi, oppure se, in una resipiscenza di responsabilità civile, vi sarà un’apertura al confronto.