Il fattore sicurezza è uno dei principali aspetti su cui è concentrata l’attenzione riguardo alle imminenti elezioni presidenziali in Ghana, in programma il 7 dicembre.
È soprattutto l’estremo nord del paese a dare preoccupazioni. Le tensioni, alcune mai sopite negli anni, nascono sostanzialmente da due fattori: uno endogeno, l’altro esterno.
Il fattore interno è relativo all’annosa rivalità tra le etnie kusasi e mamprusi, risale all’epoca coloniale e in sostanza riguarda il diritto alla posizione di capo supremo tradizionale nell’area di Bawku. Il conflitto, tra storiche e politiche interferenze, negli anni ha sempre avuto ondate di ripresa e poi momenti di stasi.
Ha ricominciato a intensificarsi nel 2021 e i disordini sono diventati più estremi con il ritorno dall’esilio di uno dei chief rivali, Seidu Abagre, incoronato, non senza controversie, Bawku Naba nel febbraio 2023.
La cittadina, che è anche uno storico centro commerciale per i paesi del Sahel, è praticamente adiacente ai confini con il Burkina Faso e il Togo. Dal 7 ottobre scorso è in corso un coprifuoco di dodici ore deciso dalle autorità dopo l’ennesimo fatto di sangue che ha portato a 25 le vittime nelle ultime settimane.
A seguito dell’intensificarsi del conflitto parte della popolazione è stata evacuata e i controlli di polizia intensificati. Tutto questo ha provocato malumori da parte della popolazione che deve fare i conti non solo con la violenza ma con la siccità che da mesi sta interessando le aree più settentrionali e aride del paese. Siamo infatti nella savana, in prossimità del Sahel.
Penetrazione jihadista
C’è poi il rischio che proviene dall’esterno, viaggia attraverso i confini e si chiama jihadismo. Oltre ai borders ufficiali – il Ghana condivide circa 600 km di confine con il Burkina Faso – ci sono moltissimi punti di ingresso non autorizzati ed è da lì, secondo gli esperti, che transitano armi e facilmente si infiltrano gruppi jihadisti.
Qualche settimana fa la Reuters – citando come fonti funzionari della sicurezza ghanesi e diplomatici regionali – affermava che le autorità ghanesi chiudono un occhio sugli insorti che attraversano il confine dal vicino Burkina Faso per fare scorta di cibo, carburante e persino esplosivi, oltre a curare i combattenti feriti in ospedali locali.
Il governo del Ghana ha smentito categoricamente che il nord del paese venga usato come base logistica dai militanti islamici. Fatto sta che le insurrezioni legate al Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (GSIM/JNIM) e ad altri gruppi armati affiliati ad al-Qaida e allo Stato islamico hanno già provocato circa 1,7 milioni di sfollati in Burkina Faso e dal 2022 più di 15mila burkinabè hanno trovato rifugio proprio nel nord del Ghana.
Migliaia di individui che si vanno ad aggiungere a quegli oltre 4 milioni di sfollati, risultato della crisi nel Sahel.
Ma la convivenza con i locali non è sempre stata facile, soprattutto con i membri dell’etnia fulani, sia per quanto riguarda le loro abitudini di nomadi dediti alla pastorizia – e spesso nascono risentimenti sull’uso di terreni agricoli e proprietà private come pascoli – sia perché si ritiene che appoggino i jihadisti.
Le autorità ghanesi sono state accusate di operare discriminazioni nel riconoscere lo status di rifugiato ai fulani e di aver proceduto all’espulsione di molti di loro. Analisi recenti mostrano comunque la crescente intensità della violenza dei gruppi armati nel Sahel e tra questi paesi quello che registra i maggiori attacchi e vittime è proprio il Burkina Faso.
Questo paese sta vivendo una profonda crisi securitaria. Alla base dei due colpi di stato succedutisi nel 2022 a soli nove mesi di distanza c’era stata la promessa da parte del leader militare tuttora al potere della giunta al comando, Ibrahim Traoré, di riportare stabilità e sconfiggere il terrorismo.
Così non è stato. Tanto che nei mesi scorsi si è ipotizzata la possibilità di un altro golpe. Il Ghana – gioco forza – ha sempre avuto un’attenzione particolare a quelle aree e confini del nord, utilizzando risorse militari e intelligence e tenendo conto dei rischi effettivi per la popolazione e per i pendolari che viaggiano in maniera regolare in quelle aree per questioni commerciali.
A parte le avvertenze di non viaggiare di notte visti i frequenti casi di agguati e rapine a mano armata, i mezzi di trasporto ufficiali vengono di solito scortati da auto della polizia.
Da tempo gli esperti hanno lanciato l’allarme sulle possibili conseguenze di espansione del jihadismo nel nord del Ghana e non tanto per motivazioni religiose (il nord del Ghana è a maggioranza musulmana) ma perché l’alto tasso di disoccupazione, la siccità, la mancanza di prospettive, la frustrazione, può spingere i giovani ad aderire alla propaganda dei gruppi armati.
Come avverte il ricercatore Alhassan Tahiru lasciare irrisolti i conflitti nel nord del paese e in particolare quello di Bawku, vuol dire attirare rischi ulteriori e quello della minaccia jihadista è già ampiamente visibile.
La corsa alla presidenza si gioca anche sul nord
Il 7 dicembre si va al voto. Un appuntamento che potrebbe essere un’altra ragione di scontro o di tentativo di destabilizzazione.
Gli occhi sono puntanti sul nord del paese, anche se non mancano tensioni di natura sociale ed economica che interessano l’intera popolazione ghanese: dall’alto costo della vita alla corruzione alla distruzione di habitat e aree di coltivazione a causa dell’estrazione illegale di oro.
I candidati sono 12 e ognuno dovrebbe aver ben chiaro che non agire in modo tempestivo su tali tensioni potrebbe portare a conseguenze assai dannose.
Come di consueto i due che hanno probabilità reale di vincere le elezioni sono quello dell’opposizione, l’NDC, John Mahama che fu già presidente dal 2012 al 2017 e quello dell’attuale partito al governo, l’NPP, Mahamudu Bawumia.
Quest’ultimo è vicepresidente del governo Akufo-Addo (che non può più ripresentarsi avendo già servito due mandati) ed è il primo candidato presidenziale del nord dell’NPP.
Scelta non approvata da tutto il partito che teme possa inficiare il risultato. Bawumia è di Walewale, capitale della municipalità di Mamprusi e quello è il suo feudo elettorale.
Qualche giorno fa vi si è recato per promettere l’apertura di una industria per processare cocomeri e di una nuova moschea. Ma Walewale è anche centro dei contrasti tra i chief locali, così come Bawku, e c’è chi si domanda perché il coprifuoco non sia stato esteso anche in questa città.