È deceduto in un centro sanitario di Monrovia a 72 anni Prince Johnson, uno tra i ‘signori della guerra’ liberiani, che da tempo soffriva di problemi di ipertensione.
La Commissione per la verità e la riconciliazione, creata in Liberia dopo la fine della duplice guerra civile che tra il 1989 e il 2003 aveva insanguinato il paese provocando 250mila vittime e migliaia di mutilati e menomati, aveva elencato Prince Yormie Johnson tra coloro che avrebbero dovuto essere processati per crimini di guerra.
Nonostante casi ben documentati di violenze rimaste impunite, rapimenti, massacri, omicidi e stupri da parte della fazione di ribelli sotto il suo comando, Johnson, tuttavia, come altri suoi compagni di lotta, non è mai andato sotto processo.
Una sorte migliore di quella toccata al suo ex amico Charles Taylor che sta scontando 50 anni di carcere per i crimini commessi negli stessi anni.
Chi scrive, il 9 settembre 1990 si trovava in Etiopia e ascoltando la BBC in radio apprese della morte di Samuel Doe, allora presidente, torturato e poi giustiziato dagli uomini di Johnson. Le malefatte di Doe mi erano note, avendone seguito la politica di repressione da lui posta in atto dal 1980, quando con un colpo di stato aveva deposto il presidente William R. Tolbert, suo predecessore, e lo aveva messo a morte.
In una evidente nemesi storica Doe giunse ad un simile epilogo, dopo che a fine 1989 la guerra civile tra i suoi soldati e le fazioni di Prince Johnson e Charles Taylor si risolse con la sconfitta e la cattura, per l’appunto, di Samuel Doe da parte di Johnson, che volle fossero filmate le scene, in seguito proiettate nel mondo, in cui personalmente interrogò Doe ordinando ai suoi soldati di recidergli un orecchio e poi giustiziarlo.
Come capitato a vari ex signori della guerra in Africa, una volta terminato il conflitto Prince Johnson, dopo un periodo speso in esilio in Nigeria, si riciclò in politica, e nel 2006, per la notorietà che si era costruito, fu eletto senatore nella sua roccaforte del distretto di Nimba, divenendo alla lunga il parlamentare più longevo.
Si dichiarò d’altro canto pentito di ciò che aveva fatto a Doe tentando di riconciliarsi con la famiglia dello stesso e come “born again” divenne devoto pastore protestante.
Alla guida del Movimento per la democrazia e la ricostruzione, Johnson appoggiò i vari candidati che, anche col suo sostegno, vinsero in successione le elezioni: Ellen Johnson-Sirleaf nel 2011 e l’ex calciatore George Weah che nel 2017 superò Joseph Boakai.
Nella più recente competizione elettorale del 2023, infine, è stato proprio Boakai a superare nel ballottaggio Weah rimpiazzandolo come presidente.
Adama Dempster, attivista per i diritti umani e sostenitrice della creazione di un tribunale speciale per crimini di guerra in Liberia, ha così commentato alla BBC la dipartita di Johnson: «Consideriamo la sua morte come un duro colpo per molte vittime che attendevano di vedere il senatore di fronte a una corte di giustizia, visto il suo ruolo nella guerra civile in Liberia».
Il presidente Joseph Boakai – memore del sostegno a lui offerto da Johnson nella campagna presidenziale che lo ha portato al potere – si è limitato a commentare: «Johnson ha svolto un ruolo fondamentale nella complessa evoluzione storica della Liberia, e ha contribuito al discorso nazionale attraverso il suo servizio nel senato».
Le opinioni riguardo a Prince Johnson appaiono comunque alquanto divergenti: c’è chi è convinto che anche in politica abbia beneficiato personalmente di finanziamenti governativi erogati vari ministeri e chi lo ha accusato di aver venduto voti per guadagno personale.
D’altro lato verrà senza dubbio rimpianto fortemente nella sua provincia di Nimba, dove molti lo hanno sempre ritenuto un liberatore e un eroe. Ma sono molti i liberiani convinti che avrebbe dovuto pagare, come altri, per i crimini commessi durante la guerra civile.