Egitto: al-Sisi sempre più dipendente dai miliardi sauditi e del Golfo
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Riad considera la stabilità del paese nordafricano come uno dei suoi obiettivi prioritari in politica estera
Egitto: al-Sisi sempre più dipendente dai miliardi sauditi e del Golfo
L’ultima linea di credito garantita dall’Arabia Saudita è stata di 5 miliardi di dollari. Ma si fa sempre più aperta la competizione con gli Emirati Arabi Uniti, che nel 2024 hanno finanziato Il Cairo con 35 miliardi di dollari. Ma entrambi i paesi hanno già avvertito il “Faraone” che non elargiranno più finanziamenti diretti a fondo perduto. Vogliono vedere riforme
05 Dicembre 2024
Articolo di Giuseppe Acconcia
Tempo di lettura 6 minuti
A sinistra il presidente dell'Egitto Al-Sisi con il il principe saudita Mohammed bin Salman (foto Anadolu)

L’Arabia Saudia continua a investire miliardi di dollari in Egitto. È stata consegnata al Cairo l’ultima linea di credito pari a 5 miliardi di dollari dopo l’accordo, firmato ad ottobre, tra il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il principe saudita Mohammed bin Salman. L’intesa aveva lo scopo di incoraggiare gli interessi reciproci tra i due paesi, in materia di commercio, trasporto, energia e turismo, e di formare un consiglio supremo di coordinamento per rafforzare la cooperazione tra Il Cairo e Riad.

Boom di investimenti dal Golfo

Nel 2024, l’Egitto ha ricevuto linee di credito pari a un totale di 57 miliardi di dollari da Fondo monetario internazionale, Unione Europea, Arabia Saudita e paesi del Golfo. Oltre la metà di questi finanziamenti (35 miliardi di dollari), volti anche a rafforzare l’economia egiziana piegata dalle conseguenze della guerra in Ucraìna e dal conflitto a Gaza, è arrivata dagli Emirati Arabi Uniti (UAE) creando una competizione tra Arabia Saudita e UAE per la loro reciproca influenza in Egitto.

Da parte saudita, non si tratterebbe più di aiuti finanziari a fondo perduto, come avveniva negli anni immediatamente seguenti alle cosiddette Primavere arabe del 2011. «Stiamo cambiando il nostro approccio, non diamo più finanziamenti diretti a fondo perduto, vogliamo vedere riforme», aveva annunciato il ministro delle riforme economiche saudita, Mohammed al-Jadaan al Forum economico di Davos nel 2023.

Il premier egiziano Mostafa Madbouly aveva fatto sapere che l’ultima linea di credito saudita di 5 miliardi di dollari all’Egitto era stata depositata nella Banca centrale egiziana indipendentemente dai fondi inviati dai paesi del Golfo. E così i possibili obiettivi di investimeno saudita in Egitto riguardano ancora una volta il Mar Rosso e la penisola del Sinai.

Obiettivo stabilità

Riad considera la stabilità in Egitto come uno dei suoi obiettivi prioritari in politica estera. Ed è così sin dal colpo di stato militare del 3 luglio 2013 che ha incoronato al-Sisi come guida del regime militare egiziano.

Senza i primi 12 miliardi di dollari sauditi il progetto di al-Sisi di accantonare le richieste avanzate dalle mobilitazioni di piazza del 2011 sarebbe probabilmente fallito.

Ma con gli anni sta cambiando la natura dei finanziamenti sauditi al Cairo. E così, come gli Emirati hanno puntato i loro investimenti verso Ras al-Hekma, a 240km da Alessandria, per rafforzare la loro presenza in Egitto, lo stesso potrebbero fare ora i sauditi con altre località del Mar Rosso, come Ras Ghamila.

I sauditi sperano di attrarre milioni di stranieri in nuovi mega-progetti edilizi, come la costruzione della megalopoli di NEOM lungo le coste del Mar Rosso nel sud dell’Arabia Saudita, con nuove costruzioni per un valore di 500 miliardi di dollari. Questi investimenti vanno anche nel solco del trasferimento di sovranità dal Cairo a Riad delle due isole disabite nel golfo di Aqaba di Tiran e Sanafir, decisione che innescò diffuse proteste al Cairo nel 2016.

Per alcuni analisiti, come Hasan Alhasan dell’International Institute of Strategic Studies, le ultime linee di credito che «da Riad arrivano al Cairo potrebbero rappresentare uno scambio di asset lucrativi per i prestiti arrivati in Egitto nel passato». 

Il ruolo egiziano e saudita nei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza

Il difficile accordo per una tregua sul fronte libanese, raggiunto lo scorso 27 novembre, potrebbe favorire anche una tregua, attesa da oltre un anno, a Gaza. Tuttavia, il Qatar, insieme all’Egitto impegnato sul fronte negoziale, ha informato le autorità USA e israeliane che non andrà avanti con la mediazione perché manca la volontà di raggiungere un’intesa tra le parti in causa.

Lo scorso aprile, Doha aveva chiesto ai leader di Hamas di lasciare il paese per andare in Turchia. Poche settimane dopo sono però ripresi gli sforzi negoziali con la mediazione del primo ministro, Mohammed bin Abdulrahman al-Thani.

Dal canto suo, il principe saudita bin Salman, soltanto lo scorso novembre ha per la prima volta condannato come un “genocidio” le azioni israeliane a Gaza. Salman ha anche criticato gli attacchi israeliani in Libano e in Iran. Il Cairo e Riad sono state accusate di essere state prima e dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 eccessivamente allineate su posizioni a favore di Israele nel conflitto in corso.

Sebbene l’opinione pubblica saudita, come quella egiziana, abbia costantemente espresso il suo sostegno per la causa palestinese, le autorità di Riad hanno sostenuto la posizione israeliana nella regione a partire dagli Accordi di Abramo (2020). Infine, a pesare sugli equilibri regionali, è arrivato nelle scorse settimane il ritrovamento senza vita ad Abu Dhabi del rabbino moldavo-israeliano, Zvi Kogan che lavorava per il gruppo ebraico ortodosso Chabad ed era scomparso da alcuni giorni.   

Le violazioni dei diritti

Nonostante le promesse di riforme, il Cairo continua a distinguersi per la mancanza di rispetto dei diritti umani. Come dimostra il caso ancora irrisolto dell’attivista socialista, con doppia cittadinanza egiziana e inglese, Alaa Abdel Fattah. La madre Laila Soueif, 68 anni, è in sciopero della fame da oltre 60 giorni per chiedere il rilascio del figlio.

La sua ultima incarcerazione è iniziata il 28 settembre 2019 dopo essere stato riarrestato. Dopo due anni di detenzione cautelare, è stato condannato per diffusione di notizie false. Per la legge egiziana, il periodo di detenzione preventiva viene contato come parte della pena da scontare e per questo Alaa avrebbe dovuto essere rilasciato lo scorso 29 settembre. Ma così non è stato.

Dall’inizio del suo sciopero della fame, Soueif ha perso 16kg e ha fatto sapere che le sue condizioni di salute stanno deteriorando velocemente. Sua figlia Mona ha dichiarato che sua madre vuole usare il suo corpo per assicurare il rilascio di suo figlio. «Spero di non dover arrivare fino a quel punto ma forse non accadrà nulla finché non sarò portata in ospedale. Farò tutto quello che serve per assicurare la libertà di Alaa», ha dichiarato Soueif.

Che ha più volte incontrato il ministro degli Esteri laburista, David Lammy, a favore del rilascio di Alaa nel 2022, prima di entrare nel governo. Lammy ha parlato di serie «conseguenze diplomatiche» per l’Egitto se il rilascio non dovesse arrivare facendo riferimeno anche alla “leva” dei 4 miliardi di sterline dei rapporti commerciali tra Londra e Cairo. «Il governo UK non dovrebbe annunciare una partnership strategica quest’anno» con il Cairo e dovrebbe imporre sanzioni economiche, ha aggiunto Lammy.

Le conseguenze dell’appoggio saudita

Il rafforzamento dell’influenza finanziaria saudita in Egitto, oltre a estendere la dipendenza per le finanze del Cairo dalle linee di credito che arrivano dal Golfo in assenza di significative riforme economiche, in termini più generali contribuisce a consolidare il regime militare di al-Sisi, nonostante la crisi economica e monetaria che colpisce la popolazione locale.

Questa strategia ha conseguenze geopolitiche significative nella regione a partire da un approccio eccessivamente moderato nei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza da parte di Egitto e Arabia Saudita fino al sostegno congiunto che i due paesi continuano ad assicurare al generale Khalifa Haftar a Tobruk, in Libia, e che mette a dura prova la stabilità del paese.

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