Con la fine del 2023, si tirano le somme sull’anno che è stato anche dal punto di vista delle politiche migratorie. E nonostante alcuni dati siano ancora in fase di elaborazione, una cosa è chiara: le politiche di Meloni sono state un flop.
Non è riuscita a fermare gli arrivi come aveva promesso. Al 31 dicembre, sulle coste italiane risultavano sbarcate 157.652 persone, un aumento del 50% rispetto allo scorso anno. Il numero più alto dal 2016, quando gli arrivi superarono i 180mila.
Il governo ha ormai ribadito fino alla nausea la sua linea: rimpatri, rimpatri, rimpatri. Una certezza che trova scarso riscontro nella realtà. Di rimpatri, infatti, se ne contavano appena 3.471 all’inizio di ottobre.
L’altro fiore all’occhiello, i Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) non ha riscosso maggiore successo. La volontà di aprirne uno in ciascuna regione per ora non ha avuto alcun riscontro ed è stata anzi ampiamente contrastata dai governatori delle regioni, tra i quali pure Luca Zaia, governatore del Veneto ed eletto con la Lega. E dopo mesi di campagne, report denunce da parte di numerose realtà tra cui Altreconomia, ActionAid e Mai più lager-NO ai CPR, lo scorso 13 dicembre è circolata la notizia che il Cpr di Milano è stato messo sotto sequestro dalla procura per le condizioni disumane di vita all’interno.
Nel frattempo, con il Decreto Cutro sono stati tagliati molti dei servizi fondamentali prima offerti nei centri accoglienza, tra cui la scuola d’italiano, il supporto psicologico e la consulenza legale, dando una stangata al già claudicante percorso di inclusione pretesto nei confronti dei richiedenti asilo.
Una linea “dura”, secondo il Viminale, di cui però si fatica a comprendere l’utilità, visti i risultati. Si aggiunga poi la maggiore irregolarità, causata dalle restrizioni imposte per l’ottenimento del permesso di soggiorno, che non fa che aumentare la tensione sociale e un’esistenza precaria che non giova né alle persone migranti né ai cittadini italiani. Al punto che il 2023 è stato l’anno in cui funzionari del ministero dell’interno hanno scioperato per la prima volta per protestare contro le condizioni di lavoro, che non consentono la giusta tutela dei diritti dei richiedenti asilo.
Altro grande successo sono i partenariati che tanto piacciono all’Unione Europea e all’Italia. Il 2023 ha visto la nascita del Memorandum tra Unione Europea e Tunisia, fortemente supportato da Giorgia Meloni e conclusosi con Kais Saied, il presidente tunisino, che ha rispedito indietro i soldi all’Europea. Un trionfo tale da spingere l’Ue a replicare con l’Egitto.
Nel 2024 invece, stando alle dichiarazioni, dovremmo vedere venire alla luce una prima parte del tanto dibattuto accordo con l’Albania. Quel piano che, secondo un esposto presentato da Riccardo Magi, di +Europa, lo scorso dicembre, dovrebbe costare la cifra astronomica di almeno 645 milioni per i prossimi cinque anni. Tutto per sollevarci temporaneamente da poche migliaia di persone. In realtà, si tratta di un piano che fa acqua da talmente tanti punti diversi che quasi certamente rimarrà lettera morta.
Infine, non vanno dimenticate le condanne della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (Cedu), che quest’anno non hanno risparmiato l’Italia e la sentenza del Consiglio di stato olandese, che lo scorso aprile ha stabilito che l’Italia non è un paese sicuro per i migranti, accogliendo il ricorso di due richiedenti asilo. Secondo gli accordi di Dublino, i due avrebbero dovuto venire rimandati in Italia, paese di primo approdo. Ma il tribunale ha dato loro ragione, sostenendo che «al momento i richiedenti asilo in Italia rischiano di trovarsi in una situazione in cui non sono soddisfatti i loro bisogni primari più importanti, come l’alloggio, il cibo e l’acqua corrente».
Il patto sui migranti raggiunto in sede dell’Unione Europea, benché sbandierato con orgoglio anche dal ministro dell’interno Matteo Piantedosi, è in realtà una magra consolazione per il governo. La distribuzione obbligatoria tra i paesi membri è un punto facilmente arginabile pagando una tassa. Si alzano i muri della fortezza Europa. Si rimane chiusi fuori, mentre dentro ci si perde nel labirinto di una politica che non funziona, fatta per lo più di slogan e propaganda e di scarsa aderenza alla realtà.