Si è conclusa il 5 novembre a Tunisi, la 33esima edizione delle Journées Cinématographiques de Carthage (Jcc). La manifestazione cinematografica più importante della Tunisia, e una delle principali in Africa e nel mondo arabo, ha proposto come ogni anno un’ampia selezione di pellicole, con un’attenzione particolare, secondo le parole della direttrice Sonia Chamkhi, «alle preoccupazioni sociali e culturali dei paesi del Sud».
Questa edizione del festival ha ospitato 480 tra cortometraggi e lungometraggi arabi e africani, sia di finzione, sia documentari.
Le giurie di ogni sezione hanno attribuito, tra i numerosi riconoscimenti, i prestigiosi Tanit: la statuetta d’oro, dedicata alla dea simbolo della civiltà cartaginese, è andata quest’anno a Thug of war (Vuta N’Kuvute, Tiro alla fune in kiswahili, lingua originale dell’opera) del regista tanzaniano Amil Shivji, per la sezione lungometraggio di finzione.
Il film, premiato anche per la fotografia di Zenn Van Zyl, racconta una storia d’amore durante gli ultimi anni della colonizzazione britannica a Zanzibar. Il film è stato anche di recente selezionato ai 95° Academy Awards (premio Oscar), nella categoria miglior film internazionale.
Applausi, nell’auditorium della Casa della Cultura di Tunisi, anche per gli altri due Tanit assegnati nella stessa sezione. Quello d’argento è andato alla franco-tunisina Erige Sehiri per Under the fig trees (Sotto gli alberi di fichi), sulla vita di un gruppo di donne e uomini che lavorano alla raccolta stagionale dei fichi in Tunisia.
Ad aggiudicarsi il Tanit di bronzo, oltre al premio per la migliore scenografia a Khalil Khoudja, è stato invece Sharaf, dell’egiziano Samir Nasr: ispirato al romanzo omonimo dell’egiziano Sunallah Ibrahim, il film riflette sulle società arabe oppresse da regimi autoritari, a partire dalla storia di un uomo incarcerato dopo aver commesso un omicidio per legittima difesa.
Nella sezione lungometraggi documentari, il Tanit d’oro è andato alla libanese Noura Kevorkian per Batata, insignito anche del premio “Lina Ben Mhenni per i diritti umani”. Argento e bronzo sono stati attribuiti rispettivamente al film della Repubblica Centrafricana We Students! di Rafiki Fariala e alla tunisina Leila Chaibi per Guardian of the worlds.
Il primo segue per dieci anni la vita di Maria, migrante siriana in Libano, mentre nel secondo il giovane regista segue le peripezie affrontate da un gruppo di suoi amici per portare avanti gli studi in economia a Bangui. Guardian of the worlds è invece la storia di un uomo che abita in un cimitero sulle colline del Jellaz, in Tunisia.
Menzioni speciali sono state attribuite in questa sezione anche ai documentari The Zone del malgascio Luck Razanajoana, che documenta il percorso di un gruppo di giovani detenuti coinvolti in un laboratorio di cinema ad Antananarivo, e al tunisino Access Denied di Heifel Ben Youssef. Quest’ultimo racconta la storia di un uomo gravemente malato che riesce a trovare sollievo alle sue sofferenze solo nel consumo di cannabis, negatogli tuttavia dalle autorità.
Durante l’assegnazione del premio, il regista ha esposto una t-shirt con lo slogan “Justice pour Issam” in sostegno al cineasta tunisino Issam Bouguerra, detenuto da un anno con l’accusa, infondata per i suoi difensori, di traffico di cannabis. Dalla platea il gesto è stato salutato con applausi e cori di solidarietà.
Per quanto riguarda la sezione dei cortometraggi documentari, il primo premio è andato a High people di Feras Mouhammed, sguardo sul mondo dei lavoratori notturni di Damasco, mentre la statuetta d’argento è stata assegnata a Tramadol del nigerino Adoum Moussa e della belga Morgane Wirtz. Il film è uno spaccato sulla vita dei consumatori e dei venditori di tramadolo, antidolorifico oppioide usato come droga da un numero crescente di persone in Niger.
Bronzo per 05:01 di Sara Ben Saoud, regista di origini tuniso-libanesi, che traccia un ritratto della sua famiglia durante il lockdown in Québec. Una menzione speciale è andata inoltre a Edris, dell’egiziano Emir El-Shenawy, storia di un adolescente eritreo immigrato in Egitto che sogna di diventare un calciatore.
Nella sezione dei corti di finizione, il Tanit d’Oro è andato a Palestine 87 del palestinese Bilel El-Khatib, storia di un amore sullo sfondo della prima Intifada. Le statuette d’argento e di bronzo sono state assegnate a Bergie del sudafricano Dian Wey, su un poliziotto che deve sgomberare dei senzatetto per fare posto a una maratona, e a Astel, della franco-senegalese Ramata Toulauye Sy. Nel film, ambientato nella remota regione settentrionale della Fouta, l’incontro tra la tredicenne Astel e un pastore sconvolge il rapporto tra la protagonista e suo padre.
Con sezioni dedicate ai bambini, proiezioni nelle carceri e nelle caserme ed eventi organizzati in strada, le Jcc sono un appuntamento che punta a coinvolgere spettatori di ogni tipo: «Trovo straordinario il fatto che sia una vera e propria festa popolare, le persone vanno al cinema per vedere i film, spesso senza sapere cosa vedranno» commenta a Nigrizia la scrittrice Souad Labbize, membro della giuria per la sezione documentari brevi: «i cinema sono strapieni e abbiamo visto sale al completo anche per dei documentari».
Da menzionare anche gli altri riconoscimenti attribuiti nella serata conclusiva:
Il premio della Settimana della Critica di Cartagine per Life suits me well di Al Hadi Ulad-Mohand (Marocco). Nella sezione “Carthage Ciné Promesse”, il premio per Ebounda del centrafricano Perrin Sombo e le menzioni speciali per Ball dell’iracheno Ouday Abdelkadhem al-Said, e per Edicius del tunisino Emir Haj Salah.
Il premio Tahar Cheriaa & TV5 Monde per l’opera prima The life after dell’algerino Anis Djaad. Il premio del pubblico a La Route di Abdeltif Abdelhamid (Siria), che si è aggiudicato anche il premio per la miglior interpretazione maschile di Mouwafak Al Ahmad e per la miglior sceneggiatura di Adel Mahmoud.
Premiati infine Nadia Ben Rachid (miglior montaggio per Regarde les étoiles, Mauritius), Kamel Kamel (miglior colonna sonora per L’esclave, Marocco), Nguissaly Barry (migliore interprete femminile per Xalé, les blessures de l’enfance, Senegal).