La Guinea-Bissau ha deciso di «rendersi complice dello sterminio per fame, l’assedio illegale e il genocidio che Israele sta commettendo contro i palestinesi a Gaza». L’accusa è partita dalla coalizione di ong a sostengo del popolo palestinese Freedom Flotilla a seguito della decisione della autorità guineane di bloccare una delle navi degli attivisti carica di migliaia di tonnellate di aiuti diretti verso la striscia, teatro da mesi di una violenta offensiva dell’esercito israeliano che ha causato la morte di oltre 37mila persone e praticamente sfollato la totalità della popolazione.
L’ente per la registrazione internazionale delle navi di Bissau, una compagnia privata che agisce su delega dello stato guineano, ha infatti rimosso la sua bandiera di registrazione da due navi della ong, fra le quali la più grande, la Akdenez, dopo un’ispezione, impedendole così di poter prendere il mare. L’intervento delle autorità guineane è avvenuto nel porto della Turchia dove erano ormeggiate le imbarcazioni nell’attesa di salpare verso la Palestina. La Akdenez era già stata caricata con circa 5mila tonnellate di beni salvavita e di prima necessità, sostiene sempre Freedom Flotilla.
Gli attivisti, in una conferenza stampa a Istanbul, hanno inoltre lamentato una serie di stranezze e di irregolarità nei controlli effettuati dall’ente guineano. Innanzitutto è necessaria una premessa: Freedom Flotilla è costituita da un insieme di diverse organizzazioni – di cui la principale è la turca Turkish Humanitarian Relief Foundation (Ihh) – e nessuna di questa è di base in Guinea-Bissau. Issare una bandiera diversa da quella dell’effettivo paese di provenienza è pratica comune nella navigazione anche se molto malvista, visto che spesso gli armatori scelgono uno Stato diverso nel tentativo di godere di legislazioni più lasche e di controlli meno rigidi. La Guinea-Bissau comunque, non è inserita nella lista deli paesi fornitori di queste “bandiere di comodo” stilata dall’ International Transport Workers’ Federation (Itf), sindacato globale dei lavoratori del settore.
Tornando alla denuncia del gruppo di ong, la coalizione afferma che i controlli effettuati dagli ufficiali guineani sono «molto insoliti», visto che le imbarcazioni oggetto dei provvedimenti erano già state sottoposte «a tutte le ispezioni previste». Secondo quanto riportato dagli attivisti, Bissau avrebbe fatto esplicito riferimento alle attività di sostengo a Gaza dell’organizzazione nel momento di notificargli la decisione del blocco. In aggiunta, l’ente del paese africano «h inoltre presentato numerose richieste non comuni di informazioni, tra cui la conferma della destinazione delle navi, eventuali ulteriori scali portuali, il porto di scarico degli aiuti umanitari e le date e gli orari di arrivo stimati. Richiedeva inoltre una lettera formale che approvasse esplicitamente il trasporto degli aiuti umanitari e un inventario completo del carico».
Quali rapporti fra Bissau e Tel Aviv?
Da qui, l’accusa politica al governo del presidente Umaro Sissoco Embaló, che secondo gli attivisti si sarebbe reso complice dei crimini commessi da Tel Aviv e del suo reiterato impegno a non lasciare che gli aiuti umanitari vengano consegnati alla popolazione civile nonostante quanto ordinato da risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e da due ordini della Corte di giustizia dell’Onu di base a l’Aia. I giornali israeliani, dal canto loro, sostengono che l’invio di aiuti da parte di Freedom Flotilla non sia approvato da Tel Aviv.
Per adesso, la Guinea-Bissau non ha risposto alle accuse che le sono state rivolte dalla ong. Embaló si è recato in Israele lo scorso marzo. Nell’accoglierlo, l’omologo di Tel Aviv Isaac Herzog lo ha definito «un vero amico di Israele», ricordando inoltre gli studi del presidente nel paese mediorientale. Herzog ha anche sottolineato il sostegno guineano nel contesto dell’Unione Africana, dove da due anni prosegue un acceso dibattito sul ruolo come osservatore di Tel Aviv, concesso nuovamente nel 2021 dopo anni di sospensione ma oggetto di forte contrasto da alcuni stati membri.
In quell’occasione Embalo, che è alle prese anche con una crisi istituzionale interna al paese, si era definito un «messaggero di pace». La Guinea-Bissau ha votato a favore di un cessate il fuoco immediato a Gaza in Assemblea generale all’Onu.