Andare oltre una narrazione stereotipata e fornire informazioni più utili a dare un quadro aperto e completo di quanto si sta raccontando.
È questo lo scopo di How to write about an african election. In sostanza una guida per i giornalisti, elaborata da Africa No Filter e il Fray College, scuola di comunicazione in Sudafrica.
Una sorta di vademecum che non ha soltanto un impiego tecnico, ma scaturisce da analisi di casi studio che evidenziano quanto la copertura giornalistica delle tornate elettorali africane insista su storie di tensioni etniche, corruzione e vari cliché che dipingono le elezioni africane come caotiche e spesso irregolari.
Parlare attraverso stereotipi finisce per trascurare le complessità e le sfumature dei processi elettorali del continente, mancare di una visione equilibrata e lasciare fuori questioni assai importanti. Ad esempio, l’impegno democratico, le diverse voci dell’elettorato e quelli che sono davvero gli interessi dei cittadini.
Migliorare ed elevare la qualità del reporting elettorale si può, ed è una sfida che alla fine aiuta anche i lettori ad una migliore comprensione di quanto raccontato.
Diversi i consigli riportati nella guida. Il primo è di lasciare da parte l’approccio tradizionale che consiste nel seguire le elezioni da una sala stampa, dare spazio solo alle note e ai comunicati ufficiali, alle conferenze stampa e ai contatti consolidati ma di rappresentare il pubblico, il mondo della società civile, il mondo accademico, lasciare esprimere opinioni anche allo scopo di dare una direzione futura a chi sarà chiamato a governare.
Certo, questo non vuol dire nascondere gli aspetti critici, ma vuol dire dimenticare i titoli standardizzati che sottolineano, ad esempio, tribalità e tensioni etniche e riportano solo le storie sensazionalistiche.
La posta in gioco, dopotutto, è enorme e il modo in cui le elezioni vengono coperte dai media avrà implicazioni non solo nei rapporti tra gli stati, ma anche nell’economia, nelle scelte degli investitori. Senza contare la percezione nei lettori, soprattutto in quelli dall’altra parte del mondo.
Spesso, oltretutto, la narrativa sulle elezioni tende a privilegiare le élite, sia quelle locali che internazionali, lasciando fuori l’agenda politica, i problemi che il paese deve affrontare, la società civile, la voce dei cittadini, soprattutto delle categorie marginalizzate.
Insomma, una campagna elettorale e poi le elezioni non sono solo candidati, partiti, criticità e rischi di violenza, ma sono fatti di un’energia vibrante e dinamica, di cittadini propositivi. E tutto questo va ascoltato e raccontato.
Se sono gli stessi giornalisti a perpetuare narrazioni stereotipate, tocca a loro cambiare rotta. Altro consiglio, dunque, è quello di smettere di focalizzare attenzione e interviste sulle solite personalità, magari facendone degli eroi, ma guardare alla multiforme rete di persone, candidati, storie.
Certo, si legge nella guida, l’influenza occidentale modella la percezione delle elezioni africane e gli stereotipi, ma la narrazione dei media africani può rafforzare o sfidare tali stereotipi.
La possono sfidare dando spazio invece a principi democratici e fornendo così una prospettiva più equilibrata. Selezionare solo storie sensazionalistiche che si allineano con nozioni preconcette dell’Africa come continente instabile e corrotto non rende un buon servizio. Né all’informazione, né alla verità.
Un modus operandi assai utile è quello di prendere contatti con i media locali, anche quelli più piccoli e creare una forma di collaborazione affinché ci sia una variegata presenza di storie, voci ed opinioni. E queste voci dovrebbero essere soprattutto quelle che di solito restano sottorappresentate, più spesso mute: le donne, i giovani, i disabili.
E anche i fixer, quando si tratta di accompagnare e lavorare con giornalisti e media esteri, dovrebbero insistere affinché la copertura vada al di là del solito modo di raccontare il continente e faccia uno sforzo per dare un risvolto più preciso, totale e autentico di una cronaca, quella delle elezioni, che è un momento cruciale per far conoscere quel determinato paese.
Oggi, riportano i ricercatori che hanno redatto la guida, c’è poca innovazione nei tipi di approccio al report, al pezzo giornalistico. Una sorta di pigrizia, aggiungiamo noi, che spinge a realizzare un lavoro (un articolo, un reportage) costruendolo attorno ad un frame già bell’e pronto.
Eppure, un lavoro più accurato e fuori dagli schemi stereotipati, non è solo una questione di etica professionale e un servizio dovuto ai lettori, ma può essere generatore di maggiore interesse e addirittura aumentare l’audience.
E a proposito di audience non bisogna trascurare che il pubblico, almeno quello africano, è molto giovane e naturalmente usa e predilige piattaforme meno convenzionali per informarsi.
Quindi, ripensare al proprio modo di fare giornalismo richiede anche ripensare alle modalità e adeguare il linguaggio, i tempi, la struttura del pezzo in relazione allo spazio online dove sarà pubblicato.