In Burkina Faso quasi 300 mila persone sono vittime di una nuova guerra dell’acqua. È l’allarme lanciato da 13 organizzazioni nazionali e internazionali che forniscono assistenza umanitaria nel paese.
Nel 2022 sono 32 le strutture idriche distrutte da attacchi terroristici. Attacchi mirati che hanno spaziato dai colpi diretti ai punti d’acqua e ai camion dell’acqua; dalla contaminazione intenzionale delle risorse idriche al sabotaggio dei generatori della rete idrica pubblica.
«Questi attacchi ripetitivi ai servizi idrici e il loro grave impatto sulla popolazione sono senza precedenti in Burkina Faso», afferma Hassane Hamadou, direttore nazionale del Consiglio norvegese per i rifugiati in Burkina Faso. Che denuncia: «Interrompere l’accesso dei civili all’acqua non è più un semplice sottoprodotto del conflitto, è diventato un’arma di guerra e segna una nuova, spregevole svolta nella violenza. Per il bene, la dignità e la sopravvivenza di una popolazione già esausta, questa guerra all’acqua deve finire».
La maggior parte delle distruzioni è avvenuta a Djibo, nella regione del Sahel, una città che ospita 283.428 sfollati interni, compresi 178.238 bambini: il più alto numero di sfollati interni in una singola località del Burkina Faso. Paese che conta 1.850.293 sfollati interni al 31 marzo 2022, che rappresentano quasi il 10% della popolazione del paese.
I civili a Djibo hanno accesso a meno di tre litri d’acqua al giorno per coprire tutti i loro bisogni (dal bere all’igiene e alla cucina) rispetto a circa il doppio di quella quantità prima degli attacchi. Ed era un livello già critico.
Infatti, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sono 15 i litri d’acqua al giorno per persona considerati il minimo per coprire i bisogni di base per uso domestico in contesti di emergenza (bere, cucinare, lavarsi, igiene personale). Sette litri è la «dotazione minima di sopravvivenza» per bere e preparare il cibo (sostenibile solo per pochi giorni).
La distanza per andare a prendere l’acqua e il tempo trascorso in coda non sono solo eccessivamente lunghi, ma possono anche esporre i civili a maggiore violenza.
Oltre agli attacchi alle strutture idriche, i civili che si recano o aspettano ai punti d’acqua vengono intimiditi e minacciati da individui armati. L’11 marzo, uomini armati non identificati hanno sparato dei colpi di avvertimento per disperdere una folla in coda vicino a un pozzo a Djibo e una donna è morta per le sue ferite dopo essere stata colpita da un proiettile vagante.
«Djibo è stato un punto critico della crisi umanitaria per oltre tre anni e ora si trova sulla linea del fronte di un nuovo tipo di guerra», dice Rebecca Bouchet-Petersen, direttrice nazionale di Solidarités International in Burkina Faso. «Il conflitto sta ora mettendo a rischio la cosa di cui nessuno può vivere senza: l’acqua pulita».
«I civili – continua Bouchet-Petersen – stavano già affrontando allarmanti carenze di cibo e medicine. Ora stanno anche diventando assetati. Considerando tutti i rischi per la salute associati al bere acqua non igienica, le temperature medie di 40°C e l’impegnativo accesso alle strade, Djibo si trova sull’orlo del disastro umanitario».
Gli attacchi all’acqua si sono recentemente diffusi anche in altre regioni. Il 15 aprile, uomini armati hanno dato fuoco a un camion dell’acqua nella regione del centronord. Gli assalitori hanno fatto capire che non volevano più vedere camion d’acqua su quella strada. Tutte le attività di trasporto dell’acqua, attualmente l’unico modo per fornire assistenza idrica di emergenza ai residenti, sono state fermate di conseguenza.