Il primo summit africano sul clima si è concluso il 6 settembre con l’adozione della Dichiarazione di Nairobi, annunciata dal presidente kenyano, William Ruto. Il continente si presenterà, dunque, con una base negoziale comune all’appuntamento di Cop 28, la prossima convenzione dell’Onu sul clima che si svolgerà nella prima metà di dicembre a Dubai.
Che cosa pensa e che cosa vuole, quindi, l’Africa?
Il documento, composto da nove pagine, esamina nel dettagli gli aspetti della crisi climatica, le azioni necessarie per affrontarla comprese quelle in cui i paesi del continente si impegnano in modo ufficiale.
Previsioni al 2050
Analizza, innanzitutto, la realtà e le previsioni di sviluppo dell’Africa all’orizzonte del 2050, in cui, secondo stime accreditate, la popolazione urbana sarà di un miliardo di persone.
Data la rapidità del fenomeno, la povertà, le ineguaglianze, la limitata possibilità di intervenire, le aree urbane africane rischiano di diventare zone di grande criticità. Osserva, poi, che due obiettivi strategici, che la comunità internazionale si era posto, non appaiono raggiungibili nei tempi previsti.
Il contenimento dell’aumento della temperatura a 1,5 gradi, concordato nella Convenzione di Parigi, comporterebbe il taglio del 43% delle emissioni di anidride carbonica entro la fine di questo decennio. Ma non si vede, per ora, l’adozione convinta di politiche che vadano nella direzione necessaria.
Lo stesso si deve dire degli Obiettivi per uno sviluppo sostenibile (SDGs) che si dovevano raggiungere nel 2030.
Sviluppo sostenibile a rilento
È evidente che il peso della crisi climatica contribuisce a rallentare il percorso verso uno sviluppo sostenibile per tutti. L’Africa è il continente che ne sta sperimentando nel modo piú devastante gli effetti. «Si sta realizzando la piú grande catastrofe climatica dei nostri giorni, che porta all’inaridimento dei fiumi, rende sterili i campi, fa seccare i raccolti che non riescono piú a sfamare i milioni di piccoli produttori agricoli che contano sulla pioggia per arare i loro campi, cosí che la fame diventa un modo di vivere dal Cairo a Città del Capo, da Nairobi a Niamey», scrive il Daily Nation con una efficace e accorata descrizione della situazione.
Il continente meno inquinante
Eppure è il continente che contribuisce in misura di gran lunga minore alla drammatica situazione. Le sue emissioni di anidride carbonica sono stimate al 3,8% sul totale, nulla se paragonate al 23% della Cina, al 19% degli Stati Uniti, al 13% dei paesi dell’Unione europea. Ha beneficiato, però, in misura irrisoria dei finanziamenti necessari ad affrontare la crisi.
In un rapporto preparato l’anno scorso da Climate Policy Initiative si dice che al continente servirebbero 250 miliardi di dollari all’anno per dieci anni (dal 2020 al 2030). Nel 2020 ne sono stati stanziati solo 30, il 12% di quanto sarebbe necessario. Nella Nairobi Declaration si ricorda che è necessario almeno onorare l’impegno di stanziarne 100 miliardi, come promesso ormai 14 anni fa alla Conferenza di Copenaghen.
Si sottolinea anche al fatto che il continente, con le sue foreste, i pascoli, le coste ricche di mangrovie, le vaste zone umide è uno dei maggiori immaganizzatori di gas serra. Un riferimento, forse, al mercato dei carbon credit, accennato nei suoi discorsi dal presidente Ruto, che lo ha introdotto anche nella revisione della legge kenyana sul clima, ma che è stato contestato da varie parti.
Oceani e biodiversità
Per quanto riguarda la protezione degli oceani e della biodiversità, si fa riferimento a trattati e convenzioni già operativi ma solo parzialmente attuati e si enfatizza l’importanza di rivitalizzarli.
Numerose sono le istanze poste al settore finanziario. Tutti i paesi africani chiedono, prima di tutto, la revisione del sistema finanziario internazionale, generalmente sfavorevole ai paesi del continente che finiscono per pagare «fino a 5 volte di piú i prestiti nel mercato globale».
Moratoria sul debito
Chiedono, inoltre, una moratoria di 10 anni per il debito e la disponibilità a una rinegoziazione dello stesso. Invitano le banche di sviluppo a rendere disponibili molti piú fondi degli attuali per contrastare gli effetti della crisi climatica e per sostenere iniziative di adattamento. Infine, chiedono di pensare a una tassa globale per i combustibili fossili, anche per quanto riguarda la loro commercializzazione e il trasporto, i cui proventi potrebbero essere dedicati ad azioni positive nell’affrontare la crisi climatica.
Energia
Un altro importante punto riguarda l’energia, in un continente dove 600 milioni di persone non hanno ancora accesso all’elettricità. Nella dichiarazione si ricorda che il 40% di tutta l’energia da fonti rinnovabili è prodotta in Africa e si chiede che lo sforzo venga riconosciuto concedendo ai paesi africani finanziamenti dieci volte superiori a quelli ora disponibili per permettere di arrivare, nel 2030, a produrre 300 Gigawatt, contro i 56 odierni.
I paesi africani s’impegnano, poi, ad accelerare l’implementazione del piano decennale dell’Unione africana per affrontare i cambiamenti climatici e sostenere uno sviluppo resiliente (African Union Climate Change and Resilient Development Strategy and Action Plan, 2022-2032) e a finalizzare la strategia e il piano d’azione per la protezione della biodiversità (African Union Biodiversity Strategy and Action Plan) con l’obiettivo di vivere in armonia con la natura entro il 2050.
Infine, nella dichiarazione si dice che il summit sarà un appuntamento biennale organizzato dall’Unione africana. Un segno che i problemi posti dai cambiamenti climatici e la ricerca di soluzioni concordate sono diventate tra le massime priorità per il continente.
Le perplessità degli ambientalisti
Il documento, che ha l’indubbio valore di essere unitario e dunque di dare più forza all’Africa nei lavori della prossima convenzione globale, è stato tuttavia criticato, nel suo stesso impianto, dagli ambientalisti. A loro parere, infatti, la dichiarazione è pesantemente influenzata dai paesi del nord del mondo.
Lo dice, tra gli altri, Greenpeace che, in un suo commento, si fa portavoce della società civile, preoccupata da «false soluzioni come il carbon market, i carbon credits e l’uso di tecnologia come possibili alternative all’uso delle pericolose fonti fossili di energia. Questi concetti sono sponsorizzati dagli interessi del Nord Globale e sono stati presentati come priorità africane quando in realtà incoraggeranno le nazioni ricche e le multinazionali a continuare ad inquinare l’Africa».
Circa 500 organizzazioni e associazioni della società civile che hanno partecipato all’assemblea, autodefinitasi come Real Africa Climate Summit, hanno lanciato una People’s Declaration come direzione alternativa per affrontare la crisi climatica nel continente.