Da decenni l’Africa come continente e varie nazioni, spingono per una riforma radicale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (CSNU), senza tuttavia ottenere alcun risultato.
Il Consiglio di sicurezza, come noto, è l’organo più potente dell’ONU. È l’organismo principale responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Le sue decisioni sono vincolanti per gli stati membri.
L’Africa, tuttavia, è l’unica macroregione tuttora senza un seggio permanente, nonostante rappresenti 54 dei 193 membri dell’ONU e il 17% della popolazione mondiale – con oltre 1 miliardo e 300 milioni di abitanti – e che detenga circa il 30% delle risorse minerarie globali.
Con l’avvicinarsi, il prossimo 22-23 settembre, dell’atteso Summit del Futuro delle Nazioni Unite (Summit of the Future o SOTF), l’appello per la riforma dell’ONU risuona ogni giorno di più a livello globale ma anche in tutta l’Africa.
Già lo scorso febbraio, nell’incontro dei ministri degli Esteri del G20 a Rio de Janeiro, il presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva aveva ribadito la sua intenzione di utilizzare la presidenza brasiliana del G20 per promuovere la riforma dell’ONU e l’ingresso di paesi del cosiddetto sud globale.
Ormai è opinione quasi universale che è giunto il tempo di riformare l’ONU e soprattutto alcune delle sue principali istituzioni, come il Consiglio di sicurezza. Un cambiamento che dovrebbe includere anche la trasformazione delle istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale).
In precedenza, nel novembre 2023 Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana (UA), era intervenuto in merito alla riforma del CSNU presso il Comitato dei 10 capi di stato e di governo (C-10) dell’UA, l’organismo creato nel 2008 a Tunisi e composto da dieci ministri delle Finanze e governatori delle banche centrali di altrettante nazioni africane.
Nell’occasione aveva sottolineato, oltre all’attività svolta per 12 anni dal C-10, la necessità di insistere nella spinta verso le riforme del CSNU e di mantenere un’agenda africana unificata con una voce comune.
La scarsa rappresentanza dell’Africa nel Consiglio, infatti, secondo Faki, impediva all’UA di identificare soluzioni efficaci e concrete ai protratti conflitti presenti in Africa.
E ribadiva il fatto che i paesi africani costituiscono il 25% dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, mentre al tempo stesso 5 delle 11 operazioni di mantenimento della pace nel mondo riguardavano il continente.
Quanto alle missioni di mantenimento della pace, per l’appunto, Faki sottolineava l’importanza di riformare le dottrine superate, obsolete e inefficienti che tuttora governano queste operazioni, nonostante gli enormi cambiamenti avvenuti sul pianeta dal tempo della creazione delle Nazioni Unite.
In base a ciò aveva chiesto due rappresentanti permanenti dell’Africa nel Consiglio di sicurezza e tre seggi per rappresentanti non permanenti. Da ultimo, Faki aveva sostenuto che l’accoglienza a pieno titolo, qualche mese prima, dell’Africa nel G20, rappresentava un riconoscimento internazionale che avrebbe dovuto logicamente portare alla piena accoglienza nel Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Il 12 agosto in un dibattito dal titolo: Affrontare l’ingiustizia storica e rafforzare l’effettiva rappresentanza dell’Africa nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha riaffermato che non è accettabile che l’Africa non abbia avuto fino ad oggi un membro permanente nell’organizzazione.
«Non possiamo accettare che il principale organismo mondiale per la pace e la sicurezza non conti su una voce permanente per un continente di oltre un miliardo di persone, né possiamo accettare che le opinioni dell’Africa siano sottovalutate su questioni di pace e sicurezza, sia nel continente che nel mondo», ha detto Guterres aprendo l’incontro.
La struttura attuale del CSNU – cinque membri permanenti con potere di veto e dieci membri eletti non permanenti con mandato di due anni – è del tutto obsoleta, poiché riflette la configurazione del potere globale alla fine della seconda guerra mondiale.
Circa 50 delegazioni hanno preso parte alla discussione avvenuta nel CSNU, e molti relatori hanno insistito sull’importanza nel nostro tempo di trovare “soluzioni africane a problemi africani”, sottolineando tra l’altro il fatto che il 2024 segna i 60 anni dalla fondazione dell’Unione Africana.
Purtroppo, nonostante le crescenti pressioni per una revisione del CSNU da parte della comunità globale e di paesi come Germania, Italia, Giappone, India e le più rilevanti nazioni dell’Africa, i cinque membri permanenti (Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia e Stati Uniti) del CSNU hanno continuato ad esercitare il proprio potere di veto a piacimento, a dominare i lavori del Consiglio e a rifiutare un allargamento nel numero di membri permanenti dello stesso.
I tre membri africani non permanenti del Consiglio: Sierra Leone, Algeria e Mozambico, hanno ribadito l’importanza di riformare il Consiglio di 15 membri in modo che rifletta la crescente importanza della loro regione negli affari globali.
Ad essi si sono uniti i rappresentanti di Francia e Regno Unito e molti altri rappresentanti nell’esprimere sostegno all’ampliamento del numero dei membri del Consiglio, con il primo che propone un numero di circa 25 membri con una maggiore presenza africana, anche nella categoria permanente.
Al tempo stesso i tre paesi hanno sottolineato con favore l’inserimento dell’Unione Africana al G20 come un passo importante per “garantire che la governance globale rappresenti il mondo di oggi”.
Esprimendo infine l’appoggio al diritto a una rappresentanza africana permanente nel Consiglio e ad un ruolo maggiore per gli stati africani a basso reddito e vulnerabili nei consigli di amministrazione della Banca Mondiale (BM) e del Fondo monetario internazionale (FMI).
Da parte sua, la rappresentante degli Stati Uniti, Linda Thomas-Greenfield, ha affermato che anche il suo paese sostiene la rappresentanza permanente nel Consiglio dei paesi dell’Africa, dell’America Latina e dei Caraibi.
«Spingeremo per garantire che il Summit del Futuro in settembre sia una piattaforma per un significativo progresso, che crei un percorso per un’azione urgente sulla riforma del CSNU. Durante il vertice e oltre, continueremo a lavorare per realizzare la riforma del Consiglio».
Il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Dennis Francis, dal canto suo, ha affermato: «Oggi mi sono rivolto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull’urgente necessità di una sua riforma, per rispondere all’ingiustizia storica della sotto-rappresentanza dell’Africa. Dobbiamo infatti riflettere il mondo così com’è oggi, non come era 80 anni fa. La credibilità delle Nazioni Unite dipende da un cambiamento significativo. Mi congratulo con la Sierra Leone per aver dato priorità a questa questione».
Il vertice di settembre dovrebbe dibattere temi critici legati all’Africa, ad esempio: discutere la proposta di abolire del tutto i seggi permanenti; rimuovere la clausola del potere di veto ai cinque paesi che lo detengono, che mina gli sforzi volti a mantenere la pace e la sicurezza; fissare nuove regole relative alle responsabilità dei membri del Consiglio; studiare quanto riguarda il contributo economico all’operatività del CSNU.
Sottolineando l’importanza del vertice delle Nazioni Unite in settembre cui prenderanno parte 193 stati membri, anche il noto economista Jeffrey D. Sachs ha pubblicato un interessante commento scrivendo che “lo sviluppo sostenibile è un obiettivo fondamentale e significa prosperità economica, giustizia sociale, sostenibilità ambientale e pace. Eppure, la nostra realtà prevalente è caratterizzata da continua povertà in mezzo all’abbondanza, aumento delle disuguaglianze, aggravarsi delle crisi ambientali e guerra”.
Solo attraverso una seria cooperazione globale, secondo Sachs, si possono risolvere le colossali sfide oggi presenti sul pianeta. “La crisi del cambiamento climatico indotto dall’uomo non può essere risolta da un solo paese. Né le crisi delle guerre (Ucraina, Medio Oriente, Africa) o le tensioni geopolitiche (Stati Uniti e Cina) – ha scritto ancora Sachs – possono essere risolte da uno o due paesi da soli. Ogni paese, anche le grandi potenze come Stati Uniti, Cina, Russia, India, Turchia e altri, fanno parte di una complessa struttura globale di potere, economia e politica che richiede soluzioni veramente globali”.
Il vertice di settembre discuterà 5 temi centrali, tutti legati al multilateralismo, cioè al sistema con cui le singole nazioni sono chiamate a coesistere con il resto del mondo: sviluppo sostenibile, pace, controllo delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale, empowerment dei giovani e delle generazioni future, riforma dell’architettura delle Nazioni Unite.