C’è anche l’Africa, e non poteva essere diversamente, nei documenti segreti del Pentagono esposti sui social media e rivelati in questi giorni dal Washington Post e dal New York Times. Tutto è cominciato su Discord e 4Chan, piattaforma di messaggistica il primo e sito per la pubblicazione di immagini, il secondo. Entrambi statunitensi. Da qui la diffusione su altri canali social è stata veloce.
L’attività di intelligence americana e i paesi su cui si è ultimamente concentrata rivela, in sostanza, le preoccupazioni della Casa Bianca e i tentativi di controllare o condizionare gli avvenimenti in corso. Punto nevralgico dell’attività di spionaggio – che in un modo o nell’altro in periodi di conflitti intensifica la sua operosità – è appunto la guerra in Ucraìna e le manovre di Putin.
I documenti, passati ovviamente dall’interno come succede spesso in questi casi, dimostrano formalmente che i servizi segreti americani si sono infiltrati nell’esercito russo, fino al comando militare, il cui obiettivo era, tra l’altro, quello di manipolare l’opinione pubblica, in particolare in Africa.
Secondo il Washington Post (qui una serie di articoli dedicati dalla testata all’argomento), che ha consultato parte di questi documenti riservati, i servizi americani erano a conoscenza di progetti interni del Gru, la direzione generale dell’intelligence dello stato maggiore delle forze armate russe, in particolare la preparazione di una campagna di propaganda in diversi paesi africani.
Progetti che avevano lo scopo di screditare Stati Uniti e Francia e influenzare l’opinione pubblica contro i leader che sostenevano gli aiuti all’Ucraìna.
L’obiettivo dell’intelligence militare russa era anche quello di propagare sui media africani resoconti sfavorevoli all’Ucraìna e al suo presidente, Volodymyr Zelensky. “Strategie” che non sono certo nuove e che hanno influenzato molte aree di crisi nel continente africano: dalla Repubblica Centrafricana, passando per il Mali, ma anche l’Etiopia e il Sudan.
Propaganda e disinformazione sono armi che possono colpire milioni di persone e che spesso provocano reazioni letali.
Armi turche da Bamako a Mosca
I documenti trapelati mostrano l’ambizione del gruppo mercenario Wagner di operare negli Stati africani (e anche questo non è affatto una novità, bensì sarebbe una conferma) e ad Haiti, e che il gruppo paramilitare aveva escogitato piani per procurarsi segretamente armi dalla Turchia, membro della Nato.
In uno dei rapporti si legge che all’inizio di febbraio, membri di Wagner avrebbero incontrato i contatti turchi per acquistare armi e attrezzature dalla Turchia. E, soprattutto, si suggerisce che il Mali avrebbe il ruolo di acquirente per procura. Proprio in Mali il gruppo Wagner è molto presente e secondo i documenti entrati in possesso della stampa statunitense nello Stato dell’Africa occidentale ci sarebbero 1.645 combattenti mercenari.
Le armi e le attrezzature acquistate dalla Turchia con l’intermediazione del Mali – anzi si parlerebbe proprio del presidente di transizione Assimi Goïta – sarebbero servite per le azioni del gruppo in Ucraìna, ma anche nello stesso Mali.
In qualche modo dalla documentazione rimane fuori il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, perché non è chiarito se le autorità turche fossero a conoscenza delle manovre. Ma non è chiaro neanche se la transazione sia stata portata a termine.
Contro propaganda?
Tuttavia, l’impressione è che – nonostante la documentazione riveli che gli Stati Uniti siano penetrati nei servizi militari e di intelligence russi e che Washington stia spiando non solo i “nemici”, come la Cina, ma persino alcuni dei suoi più stretti alleati, tra cui Ucraìna, Israele e Corea del Sud – alcune informazioni non siano proprio una novità.
Come quelle riguardanti la propaganda, appunto, o le “valutazioni” secondo cui la Francia probabilmente avrà difficoltà a raggiungere gli obiettivi di sicurezza nell’Africa occidentale e centrale.
E c’è anche chi ha messo in dubbio la veridicità di quanto emerso, primo tra tutti lo stesso dipartimento della difesa americano che ha avvertito che almeno alcuni dei files sono stati falsificati. Quasi che la fuga di notizie abbia fatto un percorso deciso a priori, spinto dalla volontà di far emergere alcune informazioni specifiche, di portare le cose alla luce del sole, di lanciare un messaggio. Una sorta di contro propaganda. Ma queste, per ora, sono illazioni.
Fatto sta che, non a caso, nei materiali si fa riferimento alla grave carenza di munizioni che deve affrontare l’esercito ucraìno. Anzi, proprio su questo, sono state rivelate intercettazioni di conversazioni tra alti funzionari della sicurezza nazionale sudcoreana sul fatto che il paese venderebbe proiettili di artiglieria che potrebbero essere usati in Ucraìna.
Ciò ha portato a una reazione politica a Seoul, dove esponenti dell’opposizione hanno denunciato quella che hanno definito “una chiara violazione della nostra sovranità da parte degli Stati Uniti”. Reazioni anche da parte di Israele che respinge le accuse di un’attività del Mossad legata all’invio di armi letali in Ucraìna. Mentre anche altri paesi europei, tra cui la Bulgaria, sarebbero pronti ad inviare a Kiev armi e aerei da combattimento.
Sul fronte opposto un documento parla invece di accordi tra Mosca e il presidente egiziano al-Sisi per la fornitura di 40mila razzi alla Russia. Affermazione smentita prima da un alto funzionario egiziano e poi anche dal portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby: «non abbiamo alcuna indicazione che l’Egitto stia fornendo capacità di armi letali alla Russia».
Da ricordare che il Cairo è uno dei principali destinatari al mondo di aiuti bellici americani. E che l’export di armi dalla Russia all’Egitto è aumentato del 44% (terzo destinatario al mondo dopo India e Cina), secondo gli ultimi, recenti dati del Sipri.
E mentre, esperti cinesi affermano che “la recente fuga di documenti sull’esercito ucraìno ha messo in luce che la disunione, la sfiducia e le divergenze tra Stati Uniti, Occidente e Ucraìna che sono gravi e continuano a peggiorare” e che “Washington è il più grande ostacolo per la comunità internazionale nel promuovere un cessate il fuoco e colloqui di pace”, non si registra nessuna reazione, fino a questo momento, dai leader africani.