Mentre gli occhi del mondo – almeno di chi è interessato alle sorti del pianeta – sono rivolti al vertice della COP28, la conferenza ONU sui cambiamenti climatici a Dubai, c’è chi rema contro. È un vero e proprio schiaffo a chi da anni mette in guardia contro gli effetti del cambiamento climatico, cosa lo produce e chi ne sono le principali vittime, l’indagine sotto copertura condotta dal Center for Climate Reporting (CCR).
Un’indagine – durata sei mesi e basata su registrazioni e documenti forniti da funzionari sauditi a giornalisti che si sono finti uomini d’affari – che ha portato alla luce quelle che sono le intenzioni dell’Arabia Saudita. Si tratta di un massiccio piano di sfruttamento petrolifero a tutto vantaggio di Riyad.
Mentre davanti alle telecamere di tutto il mondo il sultano Ahmed Al-Jaber, ministro dell’industria e della tecnologia avanzata, inviato speciale degli Emirati Arabi Uniti sul cambiamento climatico e presidente della COP28, ha aperto la conferenza con l’appello all’unità e al multilateralismo – salvo poi dichiarare il suo aperto sostegno ai combustibili fossili -, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman stava già – e da tempo – supervisionando un vasto programma di investimenti globali che finirà per contrastare gli sforzi del mondo per ridurre la domanda di petrolio e affrontare così il cambiamento climatico.
Il camaleontismo di Riyad
Il programma – così come emerso dall’indagine di CCR – presieduto dal principe ereditario e dal suo ministro dell’energia, il principe Abdulaziz bin Salman, mira ad aumentare il consumo di petrolio e mezzi alimentati a benzina e diesel, in Asia e Africa. Obiettivo finale è quello di proteggere le entrate petrolifere saudite che così non sarebbero neanche scalfite dagli sforzi per eliminare gradualmente i combustibili fossili.
Pubblicamente l’Arabia Saudita dichiara di sostenere l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, che mira a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C o 2°C, richiedendo una trasformazione quasi totale del modo in cui il mondo produce e consuma energia. Ma in privato sta agendo in senso contrario. Un senso che finirebbe per rendere le economie emergenti di Africa e Asia ancora più dipendenti dal petrolio di quanto già siano.
E questo con la benedizione, anzi secondo le volontà del principe ereditario saudita, noto anche come MBS. La stessa persona che aveva inaugurato nel 2021 la Saudi Green Initiative. Che aveva dichiarato l’impegno a ridurre le emissioni saudite a zero entro il 2060 e a svolgere un ruolo di primo piano a livello internazionale per affrontare il cambiamento climatico.
Aumentare la richiesta petrolifera
I piani dello scellerato programma, noto come Oil Demand Sustainability Program, comprende progetti che prevedono l’aumento dei veicoli alimentati a benzina e diesel e le vendite di carburante per aerei attraverso piani per sostenere i voli low cost.
Tutto questo coinvolge il Fondo di investimento pubblico saudita, pari a 700 miliardi di dollari; la più grande compagnia petrolifera del mondo, Saudi Aramco; il colosso petrolchimico Sabic; e i ministeri più importanti del regno. Tutti sotto l’ala del comitato supremo per gli affari sugli idrocarburi che fa capo al principe ereditario.
I progetti di questo piano che mira a mantenere il mondo agganciato al petrolio, nonostante gli impatti ormai visibili del riscaldamento globale, prevedono – come si diceva – la distribuzione di flotte di veicoli alimentati a benzina e diesel in tutta l’Asia e l’Africa.
Per farlo è in corso, tra l’altro, la collaborazione con un produttore automobilistico (di cui non è stato divulgato il nome) per sviluppare e produrre un’auto economica da vendere sui mercati emergenti a basso costo. Inutile dire che andrebbe a benzina. Altro che lavorare allo sviluppo di auto elettriche e non inquinanti. O l’idea di sfruttare l’enorme potenziale di energia verde del continente.
Inoltre, si prevede addirittura di favorire i viaggi aerei commerciali supersonici, che consumano tre volte più carburante rispetto agli aerei normali. A questo proposito va ricordato che lo scorso ottobre l’Arabia Saudita ha annunciato l’investimento in una start-up da 700 milioni di dollari per garantire viaggi aerei supersonici commerciali entro il 2030.
In Africa 19 paesi coinvolti
Insomma, il regno saudita ha intenzione di sfruttare il petrolio fino all’ultima goccia, visti i guadagni previsti, e per farlo ha bisogno di allargare il mercato a quelle realtà in via di sviluppo che di questo tipo di sviluppo non sostenibile stanno già da tempo pagando le conseguenze più degli altri.
Come è ormai noto, l’Africa ha il contributo più basso al mondo di emissioni di CO2, ma è il continente che sta soffrendo – e che soffrirà di più – per gli effetti del cambiamento climatico. Ma questo a Riyad sembra non interessi granché.
A sintetizzare bene cosa accadrà è Mohamed Adow, direttore di Power Shift Africa, con sede a Nairobi. «Il governo saudita – ha commentato a CCR – è come uno spacciatore che cerca di agganciare l’Africa al suo prodotto dannoso. Il resto del mondo si sta ripulendo e liberando dai combustibili fossili sporchi e inquinanti, mentre l’Arabia Saudita è alla disperata ricerca di nuovi clienti e lo sta facendo in Africa».
La notizia ha allertato i media africani. In particolare, in Kenya – che sarebbe uno dei 19 paesi africani coinvolti nei piani sauditi – dove si domanda chiarezza da parte del governo.
Oltretutto il presidente William Ruto, nell’arco di un solo anno, da quando è diventato presidente, ha già visitato tre volte l’Arabia Saudita. Ma quello che sembra più paradossale è che il paese ha ricevuto supporto da Riyad (i cosiddetti crediti di carbonio) per finanziare pannelli solari e sistemi per cucinare senza l’uso di carbone, cosa ancora molto comune in Africa.
Un tipo di supporto che il regno saudita ha garantito anche ad altri paesi africani, nell’ambito dell’iniziativa chiamata Empowering Africa. Viene da pensare che si tratti di pure operazioni di facciata, mentre in realtà si lavora per riempire cieli e strade africane di veicoli inquinanti.