Sette rappresentanti democratici hanno tentato l’azzardo: hanno preso carta e penna e scritto all’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, chiedendo a Joe Biden di sospendere gli aiuti militari all’Egitto per un valore di 300 milioni di dollari. Una sospensione a tempo: fino a quando Il Cairo «non avrà preso provvedimenti per garantire il rispetto dei diritti umani nel paese».
Le sette “anime candide” democratiche – guidate da Gregory Meeks, presidente della commissione esteri della Camera dei rappresentanti – hanno scritto di essere preoccupate «per le crescenti e sistemiche violazioni dei diritti umani in Egitto, che rischiano di destabilizzare il paese». Nel testo sono stati ricordati i «numerosi prigionieri politici» che si trovano attualmente in Egitto, i quali «sono spesso sottoposti ad abusi, torture e negligenze dal punto di vista medico».
La risposta dell’amministrazione Biden è arrivata ieri, 14 settembre: Washington concederà all’Egitto la maggior parte della tranche di 300 milioni di dollari di aiuti militari annuali, giustificando la scelta con il fatto che il Cairo ha compiuto «progressi chiari e coerenti nel rilasciare i prigionieri politici e nel fornire ai detenuti un giusto processo di legge.
Già il 10 marzo scorso l’amministrazione a stelle e strisce aveva approvato la vendita di aerei militari al Cairo per un valore superiore ai 2 miliardi di dollari. Gli americani sono preoccupati per la mancanza di tutela dei diritti umani in Egitto. Ma non così tanto da spingersi a evitare di riempire i suoi arsenali di sistemi militari.
«Il nostro approccio riflette le preoccupazioni dell’amministrazione in merito ai diritti umani e ai diritti fondamentali in Egitto, cercando, nel contempo, di preservare l’impegno e il dialogo per i quali abbiamo lottato per 20 mesi al fine di ottenere ulteriori progressi in questo settore», ha cercato di giustificare la scelta del governo un alto funzionario del Dipartimento di stato degli Stati Uniti che ha voluto mantenere l’anonimato con i giornalisti.
Alleato strategico
Ma è una giustificazione che regge poco. L’Egitto rimane un alleato strategico di Washington e ogni anno le sollecitazioni di una parte politica e della società civile americana vengono messe in un angolo in attesa di tempi migliori. Secondo alcune ong sarebbero circa 60mila i prigionieri politici in Egitto.
La legge Usa richiede al Dipartimento di stato di certificare o meno i progressi dell’Egitto in materia e condiziona gli aiuti militari ai miglioramenti compiuti nel campo dei diritti umani. Quest’anno, il segretario di stato, Antony Blinken, aveva deciso di trattenere 130 milioni di dollari, ovvero il 10% dei 1,3 miliardi che sono gli aiuti militari annuali statunitensi diretti all’Egitto, che non includono la vendita di armi.
Una scelta in fotocopia con quella assunta nel 2021. Gli Usa, quindi, autorizzeranno gli altri 170 milioni di dollari.
Funzionari del Dipartimento di Stato americano hanno dichiarato alla Reuters che 75 milioni di dollari sono stati sbloccati dopo che Blinken ha verificato che Il Cairo ha rilasciato circa 500 persone incarcerate, compiendo alcuni progressi in materia di detenzioni politiche e di giusto processo.
Mentre gli altri 95 milioni di dollari sono consegnati nell’ambito di un’eccezione statutaria relativa ai finanziamenti per l’antiterrorismo, la sicurezza delle frontiere e la non proliferazione di armi.
L’Egitto, che a novembre ospita il vertice della Cop27 sul clima, è tra i principali paesi beneficiari degli aiuti militari americani.
Il presidente Biden ha sempre ribadito di fare dei diritti umani e della promozione della democrazia le priorità della sua politica estera, rompendo con il suo predecessore Donald Trump. Ma questo principio si scontra spesso con gli interessi degli Stati Uniti quando si parla di alleati considerati cruciali, come l’Egitto in Medioriente.