Sono passati sei mesi dal lancio della campagna vaccinale mondiale contro la pandemia di Covid-19, ma per l’Africa, dove le vaccinazioni sono iniziate tre mesi e mezzo fa, poco o nulla è cambiato. Delle 66 milioni di dosi che il continente avrebbe dovuto ricevere tramite il programma Covax, solo una minima parte – 19 milioni – sono state consegnate. Al momento solo l’1% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino, contro il 40% dell’Europa.
I motivi sono molteplici, spiega a Nigrizia il dottor Giovanni Putoto, responsabile programmazione e ricerca operativa di Medici con l’Africa Cuamm, a partire dall’accaparramento di dosi che i paesi ricchi stanno mettendo in atto. A giocare a scapito del continente sono anche le difficoltà di stoccaggio – per carenza di strutture per la refrigerazione – e di distribuzione.
Mancano inoltre personale specializzato e presidi medici come siringhe e dispositivi di protezione usa e getta, che devono essere importati. Dopo Malawi, Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan, nei giorni scorsi anche lo Zimbabwe è stato costretto a rifiutare una donazione di 3 milioni di dosi del vaccino Johnson e Johnson.
Una soluzione va ricercata nel sostegno internazionale nello sviluppo della logistica e nel miglioramento dei sistemi sanitari, ma un ruolo fondamentale è giocato dalla richiesta, finora inascoltata dalle big pharma, di sospensione o condivisione dei brevetti che permetterebbe a molti paesi di produrre in autonomia i vaccini. Una richiesta che in questi giorni Oxfam ed Emergency, membri della People’s Vaccine Alliance (Gavi) stanno portando nuovamente all’attenzione dei G7.
Un traguardo che è stato raggiunto, in parte, solo da cinque paesi in Africa: Egitto, Marocco, Tunisia, Senegal e Sudafrica. E che per tutti gli altri appare ancora lontano.