Il termine “scramble for Africa” è assai noto a chi segue le vicende di questo continente. Una corsa all’accaparramento dei beni, delle risorse e, nei secoli bui della tratta, all’accaparramento di esseri umani. Ma se l’interesse verso l’Africa non è mai scemato, oggi bisogna fare i conti con i tanti cambiamenti che stanno mostrando nuove facce del continente e con quei nuovi ambiti, nuovi spazi, in cui questi cambiamenti si stanno manifestando. Ambiti e spazi che non fanno esclusivo riferimento alla territorialità.
A fare un’analisi della nuova “competizione” tra le varie potenze e multinazionali, e dei settori in cui questa si svolge, è lo studio African Spaces a cura dell’European Union Institute for Security Studies, agenzia dell’Unione europea per gli studi sulla sicurezza. I nuovi spazi emergenti – che vanno oltre le dimensioni territoriali – sono quelli che riguardano il cyberspazio e l’infosfera che hanno totalmente modificato – attraverso innovazioni e tecnologie – il modo di fare investimenti e affari. Ma anche il modo di intendere e costruire nel futuro i rapporti con il continente.
Nel paper vengono identificati otto spazi distinti che possono essere visti come i principali fronti della competizione per il potere nel continente. Mentre la prima sezione si concentra su quelli geografici, la seconda si concentra invece su “spazi funzionali” – inclusi i settori del commercio e del digitale, il mercato del lavoro e l’informazione – ed esamina come si stanno sviluppando nuove relazioni di potere e dinamiche in questi domini.
Ma prima di tutto il lavoro analizza i mutamenti geopolitici intervenuti nel continente negli ultimi decenni. Mutamenti che incidono sulla natura delle relazioni tra l’Africa e il resto del mondo. A cominciare dalle influenze straniere nei conflitti in corso (il 2019 ha visto il più alto numero di conflitti in corso dal 1946) o nello sfruttamento delle risorse. E qui entrano in gioco le principali potenze, Stati uniti, Cina, Russia, a cui sono affiancate la Turchia e i vari paesi europei.
Trasformazione economica
Ma come e perché sta cambiando la geopolitica del continente? Il chaillot paper (termine riferito alle pubblicazioni dell’Unione europea per gli studi sulla sicurezza) analizza quattro elementi. I conflitti, appunto. Ma anche la crescita e trasformazione economica degli ultimi 20 anni (che ha avuto un brusco arresto a causa della pandemia di Covid-19) che ha interessato la maggior parte dei paesi africani e che ha visto triplicare la classe media africana – 313 milioni di persone, che rappresentano oggi il 34 % della popolazione del continente.
E prospettive di miglioramento provengono dalle opportunità offerte dal trattato AfCFTA (o Zecla) che aumenterà il commercio tra paesi africani, consentendo maggiori scambi non solo di beni fisici ma anche – dice il rapporto – di conoscenze.
Il commercio interno, inoltre, potrebbe ridurre la dipendenza dai mercati esteri e agevolare sia scambi sia le produzioni dei singoli paesi. Tuttavia, la crescita è tutt’altro che uniforme e, per esempio, gli stessi conflitti, potrebbero rappresentare un elemento di freno allo sviluppo e alle potenzialità insite nell’accordo su libero commercio. Senza contare la frammentazione che aumenterebbe la vulnerabilità alla concorrenza geopolitica.
Mobilità e connettività
Altro elemento che sta modificando gli spazi sia fisici che virtuali in cui si svolge la competizione in Africa è la maggiore mobilità e connettività. Si parla dunque di sviluppo infrastrutturale, di mobilità urbana e rurale, di energia verde, ma anche della transizione digitale e della diffusione delle nuove tecnologie che hanno aumentato la produttività e i redditi, ma anche la trasparenza (o il bisogno di trasparenza) e la responsabilità delle istituzioni nei confronti dei cittadini.
Il mondo del digitale ha aperto il continente ai mercati esteri – oltre che agevolare acquisti e transazioni nei singoli paesi africani, ma ha anche ampliato – o meglio, evidenziato – il divario infrastrutturale tra zone urbane ad esempio e zone rurali e tra cittadini in grado di avvantaggiarsi delle potenzialità offerte dalla tecnologia digitale e quelli che non sanno o non possono (per ragioni economiche o strutturali) farne uso.
A questo proposito, la Banca di sviluppo africana (African Development Bank – AfDB) stima che il fabbisogno di finanziamento per le infrastrutture in Africa ammonterà a 170 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, con un divario stimato di circa 100 miliardi di dollari l’anno. Finanziamento utile a fornire strade, dighe, scuole, oleodotti, stazioni Internet e ferrovie.
Infine, resta la sfida del degrado ambientale. Un degrado non determinato solo dal cambiamento climatico ma anche da fattori come la rapida crescita della popolazione, il consumo eccessivo, la gestione non sostenibile e l’esaurimento delle risorse naturali. Cose che non solo stanno provocando notevoli danni agli habitat ma anche aumentando l’insicurezza alimentare e il gap tra ricchi e poveri.
Mobilità transahariana
Ci sono poi aree geografiche in cui negli ultimi anni sono generati grossi cambiamenti: il Nordafrica e il Sahel, aree instabili sia dal punto di vista economico sia della sicurezza. E su questo fronte una grossa parte la stanno recitando le forze militari europee (a cominciare dalla Francia) ma anche quelle paramilitari (pensiamo solo al gruppo russo Wagner).
Il Sahara non rappresenta più tanto un deserto, quanto un oceano di sabbia da attraversare, un oceano dove passano intere popolazioni alla ricerca di migliori condizioni di vita ma che è anche flusso di passaggio di gruppi terroristi e traffici illeciti. Luoghi dove la carenza infrastrutturale – sia quella fisica che virtuale – rendono difficili i collegamenti (mentre al contrario rimangono fluide le frontiere) ma anche i commerci o piani economici futuri, ad esempio la creazione di oleodotti per aprire la produzione di petrolio in remote aree interne del Sahara.
Insomma, è ancora lontana la capacità di trasformare il Sahara da uno spazio di circolazione di gruppi che minacciano la stabilità dell’area in uno spazio di investimenti mirati allo sviluppo. In questo senso appare lungimirante la visione della Cina con la sua Nuova via della seta (Belt and Road Initiative), che mira a creare connessioni spaziali utili alla crescita e alla competitività.
Secondo il report, infatti, se l’Europa vuole costruire una partnership strategica con l’Africa, allora dovrebbe in primo luogo sostenere, non combattere, la mobilità transahariana.
Il report fa un focus anche sugli oceani, in particolare il Golfo di Guinea e i paesi che affacciano a est sull’Oceano indiano. Pirateria, pesca illegale, rapimenti, sono i fattori critici che coinvolgono soprattutto agenti esterni. Le iniziative locali e multilaterali messe finora in atto non hanno prodotto grossi risultati, al di là di operazioni che di tanto in tanto vengono gestite con l’ausilio dell’Interpol e che mostrano appunto la gravità del fenomeno.
In questo senso occorrerebbe una maggiore e più efficace azione congiunta degli stati africani, ma anche della stessa Europa, se vuole strategicamente stare al fianco di un’Africa che intende combattere le illegalità e salvaguardare i propri mari nell’interesse dei cittadini e non delle grandi multinazionali.
Altro mega trend analizzato nel rapporto riguarda l’urbanizzazione: nel 2030 ci saranno 824 milioni di abitanti delle città che saliranno a 1,5 miliardi nel 2050 (erano 548 milioni del 2018). Questo veloce processo di urbanizzazione sta cambiando rapidamente la politica africana, mettendo a dura prova gli spazi urbani e portando alla luce le pressioni sociali – compreso l’aumento di criminalità, delle proteste, ma anche dell’attivismo e dell’impegno civico – dovute a questa crescita eccessiva di città e megalopoli.
E-commerce e “diplomazia digitale”
Per quanto riguarda invece gli “spazi funzionali” gli analisti si soffermano sulla crescita dell’e-commerce. In questo senso lo sviluppo del digitale sta avendo un ruolo chiave permettendo di utilizzare energie, capitali e iniziative libere dal vincolo dei confini geografici. In questo ambito c’è ancora tanto spazio di manovra (e di miglioramento) tenendo conto che ancora oggi 21 dei 25 paesi meno connessi al mondo sono in Africa.
A questo proposito grande è l’attesa di quelli che saranno i risultati degli investimenti di Facebook e Google nel continente annunciati recentemente. Il report, intanto, presenta l’influenza cinese – e tutte le infrastrutture realizzate finora – in questo settore. Internet è diventato già un “campo di battaglia” in cui si stanno affondando i colossi internazionali.
Un campo su cui giocano vari interessi e che è ancora poco protetto, pensiamo solo al “furto” di migliaia di indirizzi IP africani da parte di un uomo di affari cinese. Ma pensiamo anche a un’altra questione: l’uso della propaganda attraverso i social media nei conflitti africani – come Etiopia e Sudan – da parte di entità esterne. O l’uso politico di campagne social di disinformazione per plasmare l’opinione pubblica.
Ma a proposito di digitale sono molti, secondo il rapporto, gli “spazi di manovra” affinché l’Unione europea possa stabilire nuovi rapporti con il continente africano. A detta degli analisti dell’African Spaces, l’Ue deve adeguare la sua diplomazia all’era digitale. “La strategia dell’Ue per la cybersicurezza – si legge – dovrebbe essere definita in via prioritaria per consentire un migliore utilizzo della macchina diplomatica dell’Unione”.
Giovani, lavoro e “infosfera”
Infine, e questo è uno dei dati più salienti del documento, si evidenzia che la nuova “scramble for Africa” sta avvenendo lasciando fuori i giovani in cerca di lavoro. Non solo rimangono alti i tassi di disoccupazione ma non accenna a diminuire la precarietà. Un’altissima percentuale di giovani è impegnata nel settore informale, con punte del 56,4 % della forza lavoro in Sudafrica, fino al 97,9 % nell’Africa occidentale.
La nuova geopolitica dell’Africa sta passando anche dalla diffusione di una nuova narrativa, quella che vede la Cina impegnata a diffondere i valori del libero mercato (spazio tradizionalmente riservato agli Usa). E molti sono stati gli investimenti della Cina in tv, radio e agenzie di stampa in vari paesi africani, pensiamo solo a CCTV Africa o all’agenzia di stampa Xinhua.
E anche la Turchia da qualche anno sta facendo lo stesso. Non è affatto secondario, dunque, il ruolo che sta giocando e che giocherà l’infosfera per creare consenso. Come sappiamo, il paradigma dell’esportazione della democrazia occidentale si sta erodendo (e da tempo) anche in Africa e oggi, proprio in questo continente, attori come Cina, Russia e Turchia offrono modelli concorrenti alle democrazie occidentali, “mostrando ai partner africani una narrazione diversa, in grado di conciliare gli interessi delle élite politico-economiche e quelli delle popolazioni”.
In questo nuovo scenario – che si è andato delineando nel corso degli ultimi anni ma che è in continua evoluzione – i leader e le istituzioni africani potranno avere un ruolo chiave e predominante se solo entreranno in una logica di bene comune e di unità di intenti.
Da parte sua, l’Unione europea dovrà tenere conto di questi nuovi spazi geopolitici e funzionali se non vorrà inevitabilmente restare fuori dalle nuove prospettive di collaborazione – e non più di sfruttamento, di competizione egoistica per profitto e risorse, e di semplice aiuto – che oggi un’Africa diversa richiede.