La Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao) si è riunita ieri, domenica 7 luglio ad Abuja, la capitale nigeriana. Punto principale all’ordine del giorno: cosa fare con tre dei suoi paesi membri: Mali, Burkina Faso e Niger. I tre stati saheliani si sono sfilati in modo unilaterale dalla Cedeao (che esiste dal 1975) nel settembre 2023, per poi annunciare la creazione di una nuova confederazione a gennaio 2024, denominata l’Alleanza degli stati del Sahel (Aes). E sabato 6 luglio, Aes ha avuto il suo primo summit, a Niamey, nella capitale del Niger, per sancire la nascita ufficiale.
Le prime dichiarazioni di Aes
Così dopo mesi di incontri bilaterali, il generale Assimi Goita per il Mali, il colonnello Ibrahim Traoré per il Burkina Faso e il generale Abdourahamane Tiani per il Niger si sono incontrati per celebrare una comunità d’intenti (lotta al terrorismo e denuncia al neo-colonialismo, soprattutto francese) e di procedure (presa di potere via golpe e gestione militare del paese).
In conferenza stampa, Traoré ha sfoderato il suo armamentario retorico anti-colonialista, con dichiarazioni come «questo continente ha sofferto e continua a soffrire per il fuoco dell’imperialismo. Questi imperialisti hanno solo un’idea fissa in testa: l’Africa è l’impero degli schiavi.» Sulla stessa linea, il generale Tiani ha sottolineato l’intenzione di creare una organizzazione di popoli sovrani, «lontana dagli interessi delle potenze straniere. Una comunità di pace, solidarietà, prosperità basata su valori africani».
Al centro delle preoccupazioni di Aes è la lotta al terrorismo jihadista, che ha causato decine di migliaia di morti e milioni di sfollati, soprattutto in Burkina Faso e Mali. La frustrazione popolare per l’incapacità di migliorare la situazione su questo fronte, unita ad una situazione economica fragile, era stata alla base del rovesciamento dei regimi precedenti da parte delle giunte militari attualmente al potere. Altro elemento chiave e simbolico del programma di Aes: l’abbandono della moneta del franco Cfa (usata da 14 paesi) e la sua sostituzione con una moneta comune per i tre paesi saheliani. Operazione ambiziosa e tecnicamente delicata. Per ora non si va al di là dei propositi.
La Cedeao che fa?
Sabato, il Presidente della commissione della Cedeao, Omar Alieu Touray, ha dichiarato che «la regione rischia la disintegrazione», se i tre stati golpisti si defilano definitivamente dall’organizzazione regionale. Inoltre ha ricordato che i cittadini maliani, burkinabé e nigerini perderebbero la libertà di movimento tanto per loro stessi, quanto per bene e merci all’interno dello spazio comunitario che riguarda 15 paesi e circa 400 milioni di abitanti. La Cedeao infatti, in modo simile alla Ue, dispone di un sistema semplificato di visti e dazi doganali per i paesi appartenenti. La minaccia di perdere tali vantaggi non ha scoraggiato le tre giunte di Aes, che sabato hanno ribadito per l’ennesima volta, la loro volontà di staccarsi. Anche perché non è ancora chiaro cosa succederebbe nel caso in cui si confermasse questa sorta di brexit saheliana.
La mediazione affidata a Faye
Al momento, la Cedeao continua a prediligere la via della diplomazia. È una scelta quasi obbligata. A meno che non si voglia ripetere la figuraccia portata a casa nell’agosto 2023, quando in risposta al golpe in Niger, l’allora presidente di turno dell’Ecowas Bola Tinubu aveva minacciato un intervento armato congiunto sotto la bandiera della Cedeao per restaurare l’ordine costituzionale. La reazione ottenuta era stata il compattarsi di un fronte avverso, con Mali e Burkina Faso pronti a schierarsi militarmente in difesa del Niger. Era stato il primo passo della nascita di Aes.
Svelato il bluff dell’invasione, la Cedeao è tornata a giocare sul terreno della discussione. In questo selciato si inserisce la decisione, annunciata domenica, di affidare al presidente senegalese Bassirou Diomaye Faye il ruolo di mediatore con le giunte. Tra i leader attuali della regione ha senz’altro il profilo più vicino ai tre leader di Aes. Con i suoi 44 anni, è all’incirca della loro generazione; è al potere da poco più di 100 giorni (quindi non ha precedenti negativi a suo carico); confina con il Mali; e vanta un solido pedigree di outsider anti-establishment, guadagnato sul campo con militanza e detenzione contro l’ingerenza francese e i partiti filo-Parigi al potere in Senegal.
Nonostante tali punti in comune, che possa riuscire a trovare una mediazione rimane tutto da vedere.