Un’iniziativa di protesta senza precedenti ha visto coinvolti la scorsa settimana 64 pescherecci con circa 2mila persone d’equipaggio.
Lo sciopero dei pescatori, indetto dalla Federazione dei lavoratori dei trasporti (ITF), ha riguardato l’80% della flotta di proprietà dell’Unione europea, operante nel Golfo di Guinea e dell’Oceano Indiano.
I salari pagati ai pescatori – secondo la denuncia dei sindacati -, sono molto inferiori al minimo mensile di 658 dollari stabiliti dall’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), e contravvengono gravemente agli accordi di lunga data tra la Commissione UE e i paesi africani per promuovere pesca e occupazione sostenibili.
Molti pescatori senegalesi e della Costa d’Avorio, infatti, impiegati in navi francesi e spagnole, sono pagati, rispetto ai 658 dollari pattuiti, non oltre 219 dollari mensili, oppure 54 dollari la settimana.
Oltre a protestare per la retribuzione da fame e per le condizioni di lavoro in una delle attività più pericolose nel mondo, hanno anche accusato la flotta dell’UE di condurre pratiche di pesca insostenibili.
Chiedono quindi alla Commissione dell’UE di ascoltare le testimonianze raccolte in questo senso delle organizzazioni non governative e condurre un’indagine seria.
Gli accordi per la pesca, noti come Accordi di partenariato per la pesca sostenibile (SFPA), fruttano fino a 5 milioni di euro all’anno e sono “immensamente redditizi” per le aziende francesi e spagnole, le cui navi sono autorizzate alla pesca del tonno in acque africane.
Dal canto suo Opagac, un’organizzazione spagnola che rappresenta i produttori di tonno congelato, ha negato che l’equipaggio sia pagato meno del minimo stabilito dall’ILO o che si sia verificata qualsiasi violazione degli accordi di pesca.
Nel frattempo lo sciopero di quattro giorni è stato sospeso e poi revocato dai sindacati dei pescatori, in seguito alla mediazione delle autorità senegalesi e della Costa d’Avorio.
Questo dopo la proposta di pagare all’equipaggio salari mensili equivalenti a circa 490 dollari, oltre a bonus speciali.
Non è la prima volta che emergono denunce di pratiche di pesca illecite e non sostenibili. In un rapporto diffuso lo scorso ottobre, la Financial Transparency Coalition puntava il dito contro la potente compagnia di pesca del tonno spagnola Albacora SA definendola tra le prime 10 società del mondo coinvolte in presunta pesca illegale, cioè non segnalata né regolamentata.
Anche in quel caso si chiedeva all’UE, firmataria degli accordi, di indagare su queste società.
Nessuna violazione invece per Julio Morón, amministratore delegato di Opagac, che rappresenta Albacora, Nicra e Petusa, tre compagnie spagnole che possiedono navi che operano sulla base degli Accordi di partenariato per la pesca sostenibile.