L’ingresso del blocco continentale africano sembra essere il capolavoro del premier indiano Narendra Modi, presidente di turno dei “20 grandi” e aspirante leader del “Global South”. Quali però i reali benefici per l’Africa? E i rischi?
Una carta giocata dai grandi della terra per sedurre il “Global South”, e magari fargli dimenticare delle promesse disattese e degli impegni mancati su questioni chiave come quelle relative alla rinegoziazione del debito e la crisi climatica? O un passo storico che apre la strada verso un sistema internazionale effettivamente multipolare, dove si senta molto più chiaramente la “voce” del sud del mondo?
L’Unione africana è diventata membro permanente del G20, secondo blocco regionale ad accedere al Forum dopo l’Unione europea, e si moltiplicano gli interrogativi su cosa questo significhi per il continente.
Lo scorso sabato a Delhi, durante la prima giornata di lavori, il presidente di turno del G20, nonchè primo ministro indiano Narendra Modi, ha invitato il presidente di turno dell’Unione africana (Ua), il capo di stato delle Comore, Azali Assoumani, a sedersi al tavolo con i 20 leader. Una camminata, quella di Assoumani, verso la postazione dei “Grandi 20” che ha suggellato anche plasticamente l’ingresso dell’Unione.
Insieme al presidente del piccolo arcipelago nell’Oceano Indiano, i pochi passi necessari a raggiungere gli altri capi di stato e di governo sono stati simbolicamente intrapresi da circa 1,4 miliardi di persone, distribuite in tutti i 55 paesi dell’Africa. Circa tremila miliardi di dollari, invece, il prodotto interno lordo complessivo che l’Ua porta con sé in dotazione.
L’Unione africana aveva avuto fino a oggi lo status di “organizzazione internazionale invitata”.
Cos’è il G20?
Istituto nel 1999, il G20 è nato in risposta allo shock determinato dalla crisi finanziaria e valutaria scoppiata in Asia nel 1997 e, almeno sulla carta, ha avuto fin da subito la vocazione ad ampliare il piano delle relazioni economiche internazionali a tutta una serie di realtà economiche emergenti fra le quali, unica africana fino a oggi, il Sudafrica. Strumento di dialogo informale fino a una nuova crisi finanziaria, stavolta mondiale, quella del 2008, il G20 è riconosciuto dal 2009 come principale forum di cooperazione economica e finanziaria a livello globale.
A fronte dell’apparente consapevolezza di dover allargare lo spazio di cooperazione e confronto sui temi economici che ne caratterizza l’origine, il G20 non è riuscito, o non ha voluto, produrre azioni concrete che potessero sciogliere molti dei nodi più rilevanti per il sud del mondo, fra i quali quello relativo alla sostenibilità del debito estero.
A oggi tutte le iniziative varate dai “20 grandi” per sostenere i paesi a basso reddito in questo aspetto specifico, come la Debt service suspension initiative (DSSI) e il Common framework for debt treatment beyond the DSSI, per citare quelle messe a punto negli ultimi tre anni, non si sono dimostrate efficaci. Secondo quanto denunciato in uno studio pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) ad aprile, il 60% dei cosiddetti Low income countries (Lics), appunto i paesi a basso reddito, sono da ritenersi ad alto rischio o in sofferenza debitoria.
Una certa diffidenza
Un’inefficacia che non può che portare a una certa diffidenza, anche nei riguardi di provvedimenti che sembrano segnare un possibile cambio di passo come quello che sancisce l’integrazione dell’Ua, a lungo agognata e richiesta dai leader del continente. Lo ribadisce, in un intervento rilanciato da testate di diversi paesi africani, la presidente del think tank sudafricano South african institute of international affairs (SAIIA), Elizabeth Sidiropoulos. Nella sua analisi, l’esperta avanza il sospetto che l’ingresso dell’Unione africana nel G20 possa essere più che altro «una mossa seduttiva pensata per contrastare l’astio» provocato dal «doppio standard mostrato dall’Occidente, il suo sostegno retorico alle preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo, a cui non ha fatto poi seguito l’azione».
Ruolo dell’India
Altro fattore determinante del passaggio a cui si è assisto a Delhi è la trazione indiana che ha segnato tutto il processo. L’estensione del forum avvenuta questo mese appare come uno dei frutti della precisa volontà di Delhi di porsi alla guida del “Global South”. «Rafforzare la voce» delle economie emergenti e dei paesi in via di sviluppo del sud del mondo, ha scritto infatti Modi sulla piattaforma social X annunciando la decisione, sarà una delle conseguenze principali dell’integrazione dell’Unione nel Forum. La “voce del Global South” era stato del resto anche il tema centrale di una conferenza preparatoria al G20 che il governo indiano aveva organizzato a gennaio anche nell’ottica di raccogliere le istanze di diversi paesi del sud del mondo che non avrebbero partecipato. All’incontro avevano aderito oltre 120 paesi in via di sviluppo, di cui 47 africani.
E i BRICS?
L’integrazione dell’Unione africana nel G20 è stata preceduta anche dall’espansione del blocco dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che ad agosto hanno invitato ad aderire altri sei paesi con economie emergenti, di cui due africani: Etiopia ed Egitto. Il cambio di assetto si materializzerà a partire dal gennaio 2024. La decisione dei BRICS ha avuto una grossa risonanza sui media occidentali, visto anche l’invito rivolto all’Arabia Saudita e all’Iran e i timori connessi alla possibile rimodulazione delle alleanze e dei rapporti di forza con ricadute significative soprattutto sul piano dell’approvvigionamento energetico. L’Unione africana fa il suo ingresso nel G20 in una fase caratterizzata, inoltre, da una serie di conflittualità sia lungo la faglia nord-sud, appunto ulteriormente rafforzate dal nuovo orizzonte dei BRICS, sia fra diversi pesi massimi delle stesse economie emergenti. Emblematica, nelle analisi concordanti di diversi analisti, l’assenza di Xi Jinping all’appuntamento di Delhi, anche alla luce di rinnovate tensioni in storiche dispute di confine fra i due paesi asiatici.
Uno scenario complesso che richiederà all’Unione, quindi, di affinare e adattare i suoi strumenti e di trovare un fronte più comune su diversi temi, a partire dal conflitto in corso in Ucraìna che ha pure ha diviso durante il G20. Come fanno notare diversi esperti del continente, infatti, l’Ua entra nel Forum a sua volta segnata da una serie di divisioni interne, oltre che con sei paesi momentaneamente sospesi dopo golpe militare.
Le debolezze strutturali dell’Ua
Come si evidenzia in un commento pubblicato dal quotidiano sudafricano Business Daily, l’Ua, rispetto all’Unione europea, presenta anche delle debolezze strutturali: il blocco non è un’organizzazione sovranazionale e al momento, inoltre, si presenterebbe agli appuntamenti del G20 ogni anno con un diverso presidente di turno.
Bruxelles, invece, può fare affidamento sulle massime cariche della Commissione europea e del Consiglio europeo, che restano in carica rispettivamente cinque e due anni e mezzo. Tempi più lunghi che garantiscono una rappresentatività più solida.
Secondo il direttore per l’Africa orientale e rappresentante presso l’Ua dell’Institute for security studies (ISS Africa), Paul-Simon Handy, rilanciato dalla testata nigeriana Premium Times, l’organismo continentale africano potrebbe risolvere il problema scegliendo di farsi rappresentare dal presidente della Commissione, allo stato attuale l’ex primo ministro ciadiano Moussa Faki Mahamat, che resta in carica quattro anni.
Commentando su X, il dirigente dell’Ua chiamato indirettamente in causa da Handy ha affermato che «la presenza nel G20 come membro permanente, per la quale abbiamo a lungo lottato, ci fornisce una cornice propizia per lavorare per il bene del continente e per dare un contributo effettivo nella gestione delle sfide globali».
Un contributo quindi, che appare ricco di problematiche ma anche di potenzialità.