Quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale (AI) in Africa? È una domanda che hanno cominciato a porsi analisti, investitori, creativi alle prese con startup e strumenti di innovazione. Ma prima ancora bisogna capire come questa crescerà e funzionerà.
Se i paesi africani dispongono di minori infrastrutture di cloud computing necessarie per promuovere l’innovazione, dall’altro l’interesse che sta suscitando l’AI e le sue applicazioni stanno spingendo per lavorare al fine di aggiudicarsene benefici che al momento non sono chiaramente visibili.
Intanto bisogna partire dai primi passi, come ad esempio la costruzione di data center, centri di elaborazione e archiviazione dati che consentono connessioni più veloci per migliorare l’esperienza di utilizzo di servizi online, per esempio quelli bancari o i film in streaming.
È quello che sta accadendo. E non a caso il numero più alto di data center si trova nei paesi che sono anche le maggiori economie africane: Sudafrica, Nigeria, Kenya, Egitto e Marocco. Paesi che hanno coperto la parte maggiore degli investimenti in Africa in questo settore.
La previsione è che le dimensioni del mercato dei data center nel continente supereranno i 3 miliardi di dollari entro il 2025. Mentre il sindacato di categoria, l’Africa Data Centres Association, ritiene che gli investimenti nel settore potranno raggiungere i 5 miliardi di dollari entro il 2026.
Alcune stime, inoltre, suggeriscono che l’intelligenza artificiale potrebbe aggiungere 1,5 trilioni di dollari al Pil dell’Africa entro il 2030 se il continente riuscirà a catturare anche solo il 10% del mercato globale dell’AI.
In ogni caso, a parte gli hub più noti, operatori di data center stanno sviluppando siti in molti altri paesi: tra questi Uganda, Etiopia, Tanzania, Costa d’Avorio, Angola, Mozambico, Repubblica democratica del Congo.
In questo caso i progetti fanno capo alla panafricana Raxio, che si è avvalsa di un prestito pari a 40 milioni di dollari da parte della Proparco, istituto finanziario presieduto dall’Agenzia francese per lo sviluppo.
In Ghana, invece, recentemente l’Africa Data Center ha annunciato l’acquisto di uno spazio pari a 125 acri dove presto sarà realizzata una nuova struttura. Insomma, nessuno vuole rinunciare a quella ormai definita la Quarta rivoluzione industriale, altrimenti detta C4IR.
Solo fino a un anno fa erano già 2.400 le aziende operanti nel settore dell’IA, il 40% delle quali fondate negli ultimi cinque anni. Un’industria che comunque sta compiendo i suoi primi passi, considerato che il 34% delle imprese che utilizzano l’intelligenza artificiale sono imprese con uno staff inferiore a cento persone, mentre per il 41% si tratta di startup che contano meno di dieci impiegati.
Regolamentazione: il caso Kenya
Ma torniamo alla domanda iniziale. Secondo l’editore di Semafor Africa, Alexis Akwagyiram, «una maniera per influenzare il modo in cui l’intelligenza artificiale impatterà le nostre vite in futuro è controllare il modo in cui si sviluppa ora, attraverso la regolamentazione».
Chi già sta provando a imporre normative sull’intelligenza artificiale è il Kenya, non a caso uno dei paesi più avanzati in Africa nell’ambito della ricerca e applicazione tecnologica, tanto da meritarsi l’appellativo di Silicon Savannah.
Una mossa a cui però proprio il settore tecnologico si sta opponendo. Il disegno di legge proposto dalle autorità kenyane non convince chi in quest’ambito ci lavora e chiede di essere coinvolto nel processo decisionale. “Soffocherebbe l’innovazione e scoraggerebbe gli investitori”, dicono.
Scopo della normativa è creare un organismo professionale che supervisioni le attività dei professionisti dell’intelligenza artificiale. Inoltre si prevederebbero tasse di licenza per coloro che lavorano nel settore ma anche finanziamenti governativi per la ricerca e lo sviluppo dell’AI.
Ma a questa legge, come dicevamo, c’è già un fronte d’opposizione che non si fida di tale normativa che potrebbe – affermano – frenare un settore nascente riducendo il flusso di investimenti privati, escludendo i giovani dalle opportunità e, addirittura, minando la reputazione della Silicon Savannah.
Secondo Alfred Ongere, fondatore di AI Kenya – organizzazione di formazione e ricerca sull’intelligenza artificiale a Nairobi – il disegno di legge alzerebbe le barriere all’ingresso per l’AI in Kenya, danneggiando la capacità del settore di contribuire all’ecosistema tecnologico e all’economia in modo più ampio.
E c’è chi, come Brian Muhia, responsabile della tecnologia presso il laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale Equiano Institute e co-fondatore di Fahamu AI, ha ribattezzato il disegno di legge «una tassa sulla curiosità».
«La legislazione proposta – ha detto – porterebbe molte startup di intelligenza artificiale a chiudere o a non riuscire affatto a decollare». Certamente altri paesi africani prenderanno decisioni sulla regolamentazione dell’AI.
Ma l’idea generale degli operatori del settore è quella di lasciarlo crescere e trovare le proprie dimensioni a livello di mercato e solo poi cominciare a pensare a regolamentazioni legislative.