Quando la pandemia ha colpito nel 2020, l’Africa è entrata in una delle più calde recessioni in mezzo secolo: il suo pil si è contratto del 2,1%. Il timore era che il Covid-19 avrebbe messo in crisi i già fragili servizi sanitari continentali. Il 2021 è andato diversamente: l’Africa subsahariana è cresciuta di un 3,7% secondo il Fondo monetario internazionale. Crescita guidata da una parziale ripresa del turismo, da un rimbalzo dei prezzi delle materie prime e dall’annullamento delle restrizioni indotte dalla pandemia.
Le prospettive per il 2022 sembrano differenziarsi poco dall’anno scorso, dato che il Fondo prevede che la crescita dell’Africa subsahariana aumenterà solo dello 0,1%, quindi al 3,8%. Secondo l’Fmi, l’Africa continuerà ad affrontare i problemi legati al Covid-19, aggravati da un tasso di vaccinazione che è in ritardo rispetto alla maggior parte delle altre regioni globali.
«La ripresa prevista è più lenta rispetto ad altre regioni, portando a divergenze crescenti», scrive il Fondo nel suo Outlook del 2022. «Le economie avanzate dovrebbero tornare al loro percorso di crescita pre-crisi entro il 2023. L’Africa subsahariana, invece, non recupererà il terreno perduto in tempi brevi. La regione dovrebbe crescere due volte più velocemente nei prossimi tre anni per eguagliare il tipo di recupero previsto nelle economie avanzate».
Sappiamo, del resto, che solo l’8% circa della popolazione africana di 1,4 miliardi di persone è completamente vaccinata, il che porta a prevedere che il continente non raggiungerà una soglia accettabile di crescita per diversi anni.
Il ritardo continuerà a mettere sotto pressione i sistemi sanitari africani e allo stesso tempo a soffocare una ripresa del turismo per i paesi costieri e insulari che dipendono dalle spese dei visitatori stranieri per una quota considerevole del pil.
La divergenza tra l’Africa e il resto del mondo si rispecchia anche all’interno dello stesso continente, dove i mercati più piccoli e meno dipendenti da poche risorse stanno generalmente superando le loro controparti più grandi.
«Anche prima della pandemia, i paesi non ad alta intensità di risorse e che hanno una struttura economica diversificata stavano crescendo più velocemente rispetto ai paesi ricchi di risorse», sostiene il Fondo monetario. «Ma questo divario è stato esacerbato dalla pandemia, che ha evidenziato disparità chiave nella resilienza».
Secondo l’Fmi le prime 5 economie a crescere in Africa saranno Seicelle, Rwanda, Maurizio, Niger e Benin, che sembrano tutte destinate a superare il 6% di crescita.
Nazioni più popolose come Ghana, Costa d’Avorio e Senegal sembrano anch’esse destinate a crescere a livelli quasi pre-pandemici.
Questi paesi vantano tutti economie diversificate con governi che stanno lavorando per attrarre investimenti, costruire infrastrutture chiave e promuovere la produzione e i servizi.
I ritardatari sono le nazioni africane che si basano principalmente sulle risorse minerarie e petrolifere per la crescita in un ambiente politico e di sicurezza difficile.
Nigeria, Angola e Sudafrica si piazzano negli ultimi 10 posti, con una crescita del pil, rispettivamente, al 2,7%, al 2,4% e al 2,2%.
L’Etiopia, coinvolta in una guerra civile da più di un anno, è in fondo alla lista come 54° paese.
A ottobre 2021 il Fondo monetario aveva pubblicato le statistiche e previsioni sui dieci paesi africani che avrebbero registrato il rapporto debito/pil più alto alla fine del 2021. Erano: Sudan, con debito pubblico pari a 209, 9% del pil, Eritrea (175,1%), Capo Verde (160,7%), Mozambico (133,6%), Angola (103,7%), Zambia (101, 0%), Maurizio (101,0%), Egitto (91,4%), Tunisia (90,2%) e Congo (85,4%).