Domani si apre a Washington il secondo vertice Usa-Africa, ritenuto “storico”. Non solo perché la tre giorni (13-15 dicembre) sarà l’occasione per annunciare nuovi investimenti, per parlare di sicurezza alimentare, cambiamento climatico, democrazia e governance. Ma perchè è atteso l’annuncio di Joe Biden di far entrare l’Unione africana nel G20. “Privilegio” riservato, attualmente, solo al Sudafrica tra i paesi continentali.
L’Africa subsahariana ha spesso rappresentato uno scenario secondario per gli Stati Uniti. Negli ultimi decenni, pur nell’alternanza di repubblicani e democratici al potere, la Casa Bianca è stata spesso sprovvista di qualcosa che possa definirsi “una politica africana”. L’apice è stato raggiunto con la ritirata dell’amministrazione Trump e con la sua «calcolata indifferenza» per tutto ciò che accadeva in quel continente.
Cambia narrazione il presidente Joe Biden, che vuole riportare l’Africa al centro del mappamondo americano. Almeno per la tre giorni di Washington. Si tratta del secondo vertice Usa-Africa dopo quello organizzato nel 2014 da Barack Obama.
Attesi 49 (forse) tra capi di stato e premier
Biden non riuscirà a bissare la soglia dei 50 leader africani (di cui 37 capi di stato) raggiunta nel primo summit. Erano stati annunciati 49 tra capi di stato e premier. Non graditi i vertici di Burkina Faso, Guinea, Mali, Sudan ed Eritrea. Assente dell’ultima ora, forse, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, nei guai nel suo paese per le accuse di corruzione.
Tra i leader attesi il primo ministro etiopico Abiy Ahmed, a poco più di un mese dalla firma dell’accordo di pace con i ribelli del Tigray, oltre ai presidenti del Rwanda e della Rd Congo, nel pieno del conflitto nell’est del paese di fronte alla ribellione dell’M23.
Ma atterreranno a Washington anche i presidenti egiziano Abdel Fattah al-Sisi e tunisino Kais Saied, alle prese con una forte protesta interna, così come il presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, pochi giorni dopo che gli Stati Uniti hanno espresso seri dubbi sulla sua rielezione.
Vertice preparato da tempo
Nonostante le assenze, Biden ha investito da (e del) tempo in questa iniziativa. Il 5 febbraio del 2021, a sole 2 settimane dal suo insediamento, il presidente americano ha consegnato un messaggio video al vertice dell’Unione africana. In quella occasione, Biden ha dichiarato che la sua amministrazione si sarebbe impegnata a migliorare le relazioni con il continente africano sulla base del rispetto reciproco e della solidarietà «per portare avanti la nostra visione condivisa di un futuro migliore».
A novembre, in occasione del primo viaggio in Africa da segretario di stato, Antony Blinken ha annunciato che Biden avrebbe ospitato il 2° vertice dei leader Usa-Africa.
L’amministrazione Biden si mostrerà generosa e rivelerà un rinnovato interesse nei confronti degli ospiti africani. Per una serie di ragioni. Innanzitutto: con l’aumento delle tensioni geopolitiche, l’Africa acquista un peso sempre più rilevante. Non è un caso che si stiano moltiplicando i vertici con i paesi africani. Solo quest’anno hanno organizzato summit la Gran Bretagna, la Turchia, l’India, il Giappone e l’Unione europea, il sesto per Bruxelles.
Cina e Russia, le rivali
Dal 2000 la Cina tiene un incontro triennale con le controparti africane. Il prossimo nel 2023. Dal 2009 Pechino è il primo partner commerciale del continente e dal 2013 ha superato gli Usa come maggior investitore in Africa. Lo scambio commerciale della Cina coi i paesi africani è circa 4 volte superiore a quello americano: 254 miliardi di dollari, contro 64,3 miliardi. Cifra, quest’ultima, che rappresenta solo l’1% del commercio statunitense e in vertiginoso calo rispetto al picco di 141,9 miliardi del 2008.
Ormai è evidente a tutti, e da anni, che Washington ha perso terreno competitivo in Africa non solo con la Cina, ma anche con l’altro suo grande rivale, la Russia.
Le esportazioni americane hanno superato a malapena i 26,7 miliardi di dollari nel 2021, con un calo del 30% rispetto al picco di 38,1 miliardi del 2014.
Non aid, but trade
Per anni il mantra americano è stato «Non aid, but trade», non aiuti ma commercio. Che tradotto operativamente ha portato alla nascita, nel 2000, dell’Agoa, l’African Growth and Opportunity Act. Un patto che avrebbe dovuto facilitare l’accesso dei paesi africani al mercato americano, attraverso una serie di facilitazioni doganali. Attualmente sono 36 i paesi ammissibili ai benefici dell’Agoa, dopo che l’Etiopia, la Guinea e il Mali sono stati sospesi per il 2022 a causa di abusi dei diritti umani e di un regresso democratico. Nel 2021 quasi l’80% dei 6,7 miliardi importati nell’ambito del programma proveniva da soli 5 paesi: Sudafrica, Nigeria, Kenya, Ghana e Angola.
Buco diplomatico
Ma non è solo una crisi commerciale quella tra Stati Uniti e Africa. C’è un deficit diplomatico, con molti posti lasciati scoperti nelle ambasciate del continente. E poi a Washington sono preoccupati anche per l’evidente recessione democratica di molti paesi. Per anni l’Etiopia è stato tra i più solidi amici degli Usa nell’Africa orientale. Lo scoppio della guerra civile ha minato questo ruolo. La Casa Bianca, poi, aveva puntato molto sul dopo El-Bashir, investendo sulla democratizzazione del Sudan, paese che svolge un ruolo strategico di collegamento tra l’area araba e quella africana. Proprio in Sudan è molto forte la rivalità Usa-Cina. Ma l’autocrazia del generale Abdel Fattah Burhan ha spento gli ardori americani.
Pare che ora l’attenzione della Casa Bianca sia rivolta a 8 paesi ritenuti ad alto rischio: 5 dell’Africa occidentale (Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Guinea e Togo) oltre a Libia, Somalia e Mozambico. Perché a Washington non è mai tramontato il progetto di rafforzare il fronte securitario contro i fondamentalismi africani.
Nel numero di dicembre di Nigrizia, la Bussola intitolata Africa again è stata interamente dedicata al vertice di Washington e ai rapporti Usa-Africa.