Il tema è la sovranità degli stati e la lotta al terrorismo nel Sahel, ma la discussione si centra sul concetto di diritti umani e sulla sua vera, o presunta universalità. La domanda è sui lager libici dove vengono tenuti i migranti in transito ma la risposta amplia le prospettive alle responsabilità europee e alle sofferenze della guerra, che ha colpito anche chi in Libia ci è nato. La riflessione è sul poverty porn, ma a emergere è anche la necessità di affrontare davvero il peso gravoso del nostro passato di dominatori coloniali. A venir fuori dai panel di Africae, il festival che Nigrizia sta organizzando in questi giorni nella sua sede veronese, è che la complessità che riguarda i temi dell’Africa la si può solo accogliere. Non a caso, il titolo della manifestazione rimanda a un plurale che già dice della volontà di scardinare stereotipi e narrazioni parziali, favorendo l’incontro e stimolando dibattiti.
La kermesse è cominciata ieri 14 giugno e terminerà domani. Il festival prende le mosse dall’iniziativa organizzata ogni estate dal 2006 sempre nella sede dei comboniani della città scaligera, “Ma che estate”, ma quest’anno presenta una novità: al consueto appuntamento serale fatto di musica, cibo e convivialità, si accompagno mattinate e pomeriggi di incontri sull’attualità africana. Ospiti, analisti, giornalisti e artisti italiani, africani e afrodiscendenti. Il festival si presenta come un’appendice naturale del lavoro portato avanti quotidianamente da Nigrizia e dal Museo Africano, rispettivamente sul piano giornalistico e culturale. A loro volta, questi due attori agiscono sotto l’ombrello della Fondazione Nigrizia Onlus, animata dal Collegio Missioni Africane dei missionari comboniani.
“Libia. Di migrazioni, petrolio e molto altro”
I lavori sono partiti ieri, col “buco nero” della Libia, declinata a partire dal titolo “Di migrazioni, petrolio e molto altro”. La conferenza è stata moderata dal giornalista di Nigrizia Gianni Ballarini. A confrontarsi sul tema Nancy Porsia, reporter indipendente esperta di Medio Oriente, Nord Africa e Corno d’Africa, in video collegamento, e poi in presenza Antonio Morone, professore associato in Storia contemporanea dell’Africa presso l’Università di Pavia.
Il colloquio fra i due esperti è stata l’occasione per ricostruire la storia recente del paese nordafricano. Si è partiti dalla fine del quarantennale regime di Gheddafi, deposto nel 2011 da una rivolta popolare ma soprattutto dalle bombe di Francia e Nato, per passare alla guerra civile fra governi paralleli di Tripolitania e Cirenaica che ha scosso il paese dal 2014 e le cui conseguenze – o forse le cui ragioni inziali – impediscono al paese di arrivare a delle elezioni per un governo unificato ancora oggi. In realtà, Banca Centrale e compagnia petrolifera statale sono già condivisi, ma il nodo della ripartizione dei dividendi del greggio non si risolve così come diverse altre questioni, fra interessi locali e ingerenze esterne che si saldano su un punto, quello di far sì che il nodo gordiano libico non si sciolga mai.
Il paese intanto, diviso e instabile così com’è, serve all’Europa per contenere la migrazione “irregolare” dall’Africa subsahariana. Il sostegno della comunità internazionale del resto, ha cambiato focus, dice Morone. Prima i fondi servivano a costruire democrazia, ora a fermare chi migra verso l’Europa. Serve guardare a questo anche quando si pensa ai cosiddetti “lager” libici dove vengono rinchiusi tanti migranti, che più che libici, appunto, sono degli italiani e degli europei che li finanziano.
“Il Sahel: cercasi stato sovrano, tra jihadismo e traffici illeciti”
Il primo panel a scandire il pomeriggio di oggi è stato invece “Il Sahel: cercasi stato sovrano, tra jihadismo e traffici illeciti”. Roberto Valussi, giornalista di Nigrizia, ha moderato Alessandro Locatelli, economista della Fondazione ICSA, e Ilaria Allegrozzi, senior Sahel Researcher per Human Rights Watch (HRW). Locatelli ha evidenziato come in Sahel manchi ancora uno stato che si possa definire stabile e forte. Vengono quindi avanti i militari, che negli ultimi quattro anni hanno preso il potere con dei golpe in Mali, Burkina Faso, Niger e Guinea. Ma a segnare lo scenario politico non è tanto la creazioni di istituzioni forti quanto il fronteggiarsi fra il potere dei soldati e quello dei gruppi di matrice jihadista che negli anni hanno acquistato sempre più spinta, arrivando a controllare fette rilevanti di territorio in Mali e ancor più in Burkina Faso.
Dal canto loro, ha evidenziato Allegrozzi, i governi golpisti contrastano i gruppi armati con modalità che spesso violano -o non considerano proprio – i diritti umani sia dell’altra parte belligerante che delle popolazioni civili che abitano nelle aree controllate dai miliziani. Il dibattito si è acceso con gli interventi del pubblico. Partecipanti hanno difeso l’operato delle forze armate, rivendicandone i successi e ricordando i fallimenti e le ombre di decenni di presenza politica e militare francese. Resta il nodo dei diritti umani e del loro rispetto. La discussione si è quindi centrata su quanto questo concetto sia universale ed estendibile a tutti le regioni del pianeta o una leva di controllo politico dell’Occidente, che se ne arroga la proprietà.
“Oltre il poverty porn”
Ci sono problemi di comunicazione che la comunicazione non può risolvere: sembra essere questa invece, la frase che meglio sintetizza il cuore del secondo incontro delle giornata, “Oltre il poverty porn”. Valussi di Nigrizia, di nuovo in veste di moderatore, ha facilitato il dialogo fra Andrea Comollo, responsabile comunicazione dell’Ong WeWorld e docente all’Università Cattolica di Milano, e Wissal Houbabi, poetessa, scrittrice e performer con background migratorio.
Il poverty porn, ha spiegato Comollo, è è una forma di marketing impiegata da diverse organizzazioni umanitarie e che usa dolore, povertà e sofferenza in modo completamente decontestualizzato e molto marcato al fine di raccogliere fondi tramite donazioni. Si produce un meccanismo il cui propellente principale è il binomio “senso di colpa-salvatore”, che si innesca nel cittadino bianco europeo e che lo porta ad agire tramite un sostegno economico. Questo circuito emotivo e di rappresentazione va decostruito alla luce di una consapevolezza politica, ha denunciato però Houbabi, che ha riportato diversi episodi personali di persona e professionista razzializzata. Questo nuovo stato di cose deve partire da una presa in carico seria del passato coloniale italiano e dei suoi effetti, ha proseguito l’autrice. Il tema manca nel dibattito pubblico italiano ed è accettato che sia così, quando in realtà è qualcosa di profondamente grave, ha concluso Houbabi.
“Tra Africa e Europa, in immagini”
Il tema della razzializzazione è tornato anche nell’ultimo panel della giornata, “Tra Africa e Europa, in immagini”. Moderato dalla giornalista di Nigrizia Jessica Cugini, il confronto ha visto protagonisti Marco Aime, antropologo e africanista, docente di antropologia all’Università di Genova, e Theo Imani , artista e autore del progetto “Echi e Accordi”. Quest’ultima iniziativa è costituita da una serie di dittici: l’autore, veronese afrodiscendente, mette una accanto all’altra in una sola opera un immagine tratta dall’arte europea classica a una che proviene invece da opere dell’arte africana e afrodiscendente contemporanea, soprattutto fotografie. L’artista ha sottolineato come questo progetto sia una traduzione del suo vissuto. Imani è partito anche dalla teorizzazione della dualità di cui parlava il filosofo afroamericano Du Bois. Ma se l’intellettuale statunitense diceva di anime contrastanti in lotta fra loro, Imani esprime questa dualità con un dialogo, un’armonia di somiglianze. L’effetto che si crea – suggestivo ma anche straniante – è l’ulteriore frutto di un legame antico ma negato, ha affermato Aime. Una rimozione che non ci fa vedere, ha concluso l’antropologo, come l’Africa abbia avuto sempre a che fare con noi, e noi con lei.