African Stream: censura o propaganda? Il caso Blinken divide
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L'organizzazione panafricana bannata da tutti i social di Meta e da Google dopo che Anthony Blinken l'ha accusata di fare propaganda russa
African Stream: censura o propaganda? Il caso Blinken divide
02 Ottobre 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti

Da metà settembre, l’organizzazione panafricana di media African Stream è sparita dai radar di Meta e di Google. Sospesi i loro account Facebook, Instagram e Threads, assieme a quelli Youtube e Gmail. 

Il sipario è calato improvvisamente dopo che lo scorso 13 settembre, il segretario di stato americano Antony Blinken, durante una conferenza stampa ha accusato African Stream di essere parte di un’operazione segreta di propaganda guidata dall’intelligence russa tramite l’emittente RT. La denuncia segue un’azione congiunta tra il dipartimento di Stato, il dipartimento di Giustizia, il dipartimento del Tesoro e l’FBI, il cui obiettivo è contrastare l’influenza e l’interferenza russa nelle elezioni statunitensi. 

African Stream, fondata da Ahmed Kaballo, giornalista britannico-sudanese con precedenti legami con i media statali iraniani, ha avuto una notevole presenza sui social (più di 800mila followers solo su Instagram), prima della loro disattivazione. L’agenzia collabora con giornalisti africani e della diaspora, ma frequentemente ripubblica contenuti di altri utenti. 

Secondo il dipartimento di Stato americano, African Stream riproduce tattiche utilizzate in precedenti operazioni russe, come l’outsourcing a individui con conoscenze locali e il riutilizzo di contenuti già virali per ottenere maggiore trazione, oltre alla mole di contenuti anti-occidentali (di stampo filo-russo secondo Blinken, e anti-imperialista secondo i portavoce di African Stream).

Kaballo ha negato qualsiasi finanziamento statale, affermando che il progetto si basa su donazioni private e che la copertura mediatica è indipendente. 

African Stream ha reagito con veemenza alle accuse, dichiarando il progetto “sotto attacco” e lanciando l’hashtag #WeAreAllAfricanStream: “non hanno fornito nessuna prova ufficiale contro di noi”, si legge sul loro sito e sull’account X.

Diversi giornalisti africani e della diaspora, tra cui il nigeriano David Hundeyin, hanno denunciato il caso come una chiara violazione della libertà di stampa, nonché un esempio eclatante di “paternalismo occidentale”.

Secondo Hundeyin, non si può non notare come il dissenso da parte degli africani spesso venga imputato non alla loro personale capacità di giudizio ma all’influenza esercitata da qualche altra superpotenza.

Durante una lunga intervista poi pubblicata sul canale Telegram di African Stream, il giornalista ricorda gli innumerevoli casi analoghi verificatisi nel corso della storia, tra cui la vicenda Patrice Lumumba, idolo dell’indipendenza congolese assassinato nel 1961. Lumumba era stato additato additato come guidato dall’Unione Sovietica e ribattezzato ‘African Castro’. 

In un comunicato diffuso attraverso le loro piattaforme ancora attive, i responsabili di African Stream ricordano di non essersi mai tirati indietro quando è stato necessario criticare anche l’operato russo, come nel caso del supporto della Wagner alla missione genocidaria delle Forze di supporto rapido (RSF) guidate da Hemeti nel Darfur sudanese.

Ribadiscono, inoltre, la loro determinazione a dimostrare la falsità delle accuse. In un video pubblicato su TikTok il 17 settembre, hanno affermato di star lavorando con il loro team legale per capire come procedere nel modo più incisivo possibile. (AB) 

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