Il 5 dicembre si è conclusa in Algeria la visita di dieci giorni della Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i difensori dei diritti umani, Mary Lawlor. Nel corso della conferenza stampa di presentazione dei risultati della missione, la relatrice ha invitato a liberare tutti i difensori dei diritti umani in detenzione.
«Mi rammarico che alcuni difensori dei diritti umani che lavorano su questioni delicate debbano affrontare continue restrizioni», ha detto durante la conferenza stampa.
Lawlor, pur riconoscendo le riforme sociali che il paese si sta impegnando ad attuare, ha preso atto di come gli attivisti algerini siano ostacolati nelle loro attività pacifiche a difesa dei diritti umani. E come tali restrizioni si ripercuotano sulle loro famiglie, come raccontava a Nigrizia l’attivista algerino Zaki Hannache, quasi un anno fa.
Nel corso della missione iniziata il 25 novembre, Mary Lawlor si è confrontata con 50 attivisti e attiviste che hanno parlato della «poca trasparenza» rispetto alle autorità che richiedono i fermi detentivi – «ordini dall’alto» – e ai motivi degli stessi. Alcune persone si sono riferite a una «polizia politica che agisce nell’ombra».
«La stragrande maggioranza dei difensori dei diritti umani che sono riuscita a incontrare mi ha detto di essere sottoposta a qualche forma di restrizione da parte dello Stato nelle sue attività pacifiche. Il costante monitoraggio e le molestie hanno creato un palpabile senso di frustrazione e paura tra coloro che ho incontrato», si legge nella dichiarazione di fine missione.
Oltre a coloro che hanno rilasciato la propria testimonianza, ci sono stati attivisti che si sono rifiutati all’ultimo momento d’incontrare la relatrice ONU per il timore di ritorsioni.
Altri, invece, che avrebbero tentato di raggiungere Lowler nella città cabilina Tizi Ouzou, sono stati trattenuti alla stazione di polizia della zona per oltre 10 ore. Si è trattato di persone già sotto sorveglianza e regolarmente ostacolate nella partecipazione a riunioni ed eventi.
«Mi aspetto che tutti i difensori dei diritti umani che ho incontrato possano lavorare senza alcuna restrizione dopo avermi incontrato», ha avvisato la relatrice speciale, che ha visitato anche le carceri di El Harrach, Kolea e Tiaret per appurare il trattamento riservato ai detenuti d’opinione.
Tra i punti cruciali emersi dalla dichiarazione di fine missione, si evidenzia: come il termine “difensore dei diritti umani” risulti poco chiaro alla società algerina, che – nella preoccupazione di dare adito a voci critiche che potrebbero destabilizzare il paese – reprime i militanti che difendono e promuovono il rispetto dei diritti umani senza ricorrere alla violenza; l’ampiezza e vaghezza della definizione del reato di terrorismo (articolo 87bis del Codice penale), ai sensi del quale sono accusati molti militanti.
La relatrice speciale, pur riconoscendo l’importanza del reato di terrorismo a fronte del decennio nero che l’Algeria ha vissuto negli anni ‘90, ha rimarcato che i suoi incontri sono stati con persone che s’impegnano pacificamente nella difesa dei diritti umani, come nel caso di Kamira Nait Sid, co-presidente del World Amazigh Congress (CMA) – organizzazione che promuove e difende i diritti del popolo Amazigh -, condannata in appello a 3 anni di reclusione lo scorso luglio con l’accusa di “minare l’unità nazionale”.
Verso la conclusione, Mary Lowler ha sintetizzato i 4 modelli che ritornano nella repressione degli attivisti algerini, basati su persecuzioni giudiziarie: scioglimento delle organizzazioni a tutela dei diritti umani, com’è stato per la Lega algerina per la difesa dei diritti umani (LADDH) e la Rassemblement Actions Jeunesse (RAJ); limitazione della libertà di movimento, anche mediante divieti di viaggio o ISTN (Interdiction de sortie du territoire national); intimidazione e sorveglianza.
La relatrice speciale si è appellata al governo algerino affinché liberi tutti i difensori dei diritti umani, detenuti per aver esercitato le loro libertà di pensiero, espressione e associazione; cessino le intimidazioni e gli ostacoli alla libertà di movimento, e sia sviluppato un dialogo con le organizzazioni e gli individui che si battono pacificamente per il rispetto dei diritti umani; vengano modificati gli articoli del Codice penale relativi al reato di terrorismo e minaccia all’unità nazionale, in modo da renderli conformi agli standard internazionali.