Nella strategia di repressione del regime algerino è stata risucchiata anche la Lega algerina per la difesa dei diritti umani (Laddh), organizzazione a tutela dei diritti umani tra le più importanti in Algeria.
La Laddh viene sciolta legalmente il 28 settembre scorso a seguito della richiesta di dissoluzione del 4 maggio 2022 presentata dal ministero dell’interno al tribunale amministrativo di Algeri. Il processo si è tenuto il 29 giugno, con sentenza a favore del ministero, ma la Lega non ne era stata messa al corrente: scopre del suo scioglimento solo il 20 gennaio scorso grazie a un documento pubblicato sui social contenente l’esito della sentenza.
Intanto, proprio in quei giorni (22-23 gennaio), la presidente del consiglio Giorgia Meloni si trovava in visita nel paese maghrebino per stringere accordi energetici, ma della situazione socio-politica algerina ormai sempre più precaria non è stata fatta menzione.
Il destino che ha raggiunto la Lega algerina è lo stesso che nel 2021 è toccato ad altre associazioni e organizzazioni sostenitrici del movimento popolare Hirak, tra queste Sos Bab El Oued Association e Rassemblement actions jeunesse (Raj), movimento giovanile che sensibilizza i giovani alla partecipazione politica.
Della dissoluzione dell’organizzazione abbiamo parlato con Said Salhi, vicepresidente della Ligue algérienne pour la défense des droits de l’homme, in esilio in Belgio.
Quando e perché nasce la Lega algerina per la difesa dei diritti umani? Come sono stati nel corso del tempo i rapporti col governo algerino?
La Lega nasce nel 1985 sotto impulso di avvocati ed ex militanti. Il governo dell’epoca reagì violentemente alla sua creazione, imprigionando i suoi fondatori e sostenitori, accusandoli di aver creato un’organizzazione con lo scopo di minare la sicurezza dello Stato, e vietandone quindi le attività fino al 1989. Con la Costituzione dello stesso anno e l’apertura democratica, la Lega venne ripristinata e con essa le attività che svolgeva, rese legali dal ministero dell’interno.
Gli obiettivi della Lega sono innanzitutto la difesa dei diritti umani universali come riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del ‘48; diffondere la conoscenza dei diritti umani, denunciarne le violazioni. Facciamo parte di reti internazionali a difesa dei diritti umani, come la Federazione nazionale per i diritti umani (Fidh), la Rete euro-mediterranea per i diritti umani, e il Coordinamento maghrebino delle organizzazioni dei diritti umani (Cmodh).
La Laddh ha un ruolo di advocacy, che svolge attraverso il monitoraggio, la documentazione dello stato di salute dei diritti umani, collaborando con vari enti e organizzazioni internazionali, come: Nazioni Unite, Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli, Corte europea dei diritti umani, Unione Europea.
Realizziamo rapporti annuali che poi inoltriamo alle organizzazioni internazionali come base di studio per quando giungono in Algeria a esaminare lo stato dei diritti umani nel paese, come avvenuto lo scorso novembre in occasione della revisione periodica universale del Consiglio Onu per i diritti umani. Siamo generalmente supportati da sostenitori internazionali, in particolare dall’Unione Europea.
La Lega è presente a livello nazionale in diverse wilaya (province). Abbiamo inoltre dei centri di formazione, in particolare il Centro di documentazione sui diritti umani che si trova a Béjaïa, e la Casa dei diritti umani e dei cittadini che si trova a Tizi Ouzou.
A partire dal 2015, il rapporto con il governo ha cominciato a deteriorarsi in corrispondenza della collaborazione con il Coordinamento maghrebino. Fu proibita la giornata della celebrazione dei diritti dell’uomo, e da lì la situazione precipitò: tutte le nostre attività hanno iniziato a essere proibite dalle amministrazioni, così ci ritirammo nei nostri uffici, non avendo accesso al settore pubblico e alle istituzioni ufficiali. Tutto ciò fino al 2019, anno in cui è sorto l’Hirak.
Com’è stato il vostro rapporto con l’Hirak?
Come Lega algerina per la difesa dei diritti umani abbiamo sostenuto e fatto parte dell’Hirak sin dalla sua nascita, il 22 febbraio 2019. L’1 giugno 2019 riuscimmo a riunire tutti gli attori della società civile, nonché i principali partiti politici, per un incontro col governo allo scopo di giungere a una proposta politica. Sfortunatamente dal mese di luglio, praticamente prima delle elezioni presidenziali, il potere cominciò a rispondere ai nostri intenti di dialogo con la repressione, gli arresti, il divieto alle manifestazioni.
Noi, nonostante il potere non abbia voluto sentire ragione, abbiamo denunciato la repressione e continuato a chiedere un dialogo tra governo e società civile, a rispettare la volontà del popolo espressa dal movimento pacifico del 2019.
Poi due anni fa, con il miglioramento della situazione sanitaria post-Covid, abbiamo ripreso a manifestare ogni venerdì alle 14 in tutte le regioni d’Algeria. Da marzo 2021 la risposta del regime è stata di nuovo la repressione e la proibizione di tutte le manifestazioni pubbliche.
Ci sono stati arresti di militanti politici, di responsabili di associazioni, giornalisti, avvocati, difensori dei diritti umani. Una repressione generalizzata che persiste ancora. Dal 2019, abbiamo avuto più di 2mila arresti e molti sono ancora sotto controllo giudiziario.
Tutte le persone che rivendicano il cambiamento democratico vengono accusate ai sensi dell’articolo 87bis del Codice penale di essere “terroriste”. Con l’applicazione di questo articolo, sono aumentati infatti gli arresti. Un/a militante si può trovare dietro le sbarre della direzione militare, o della gendarmeria, per parecchi giorni, mentre la legge prevede solo 48 ore; si può incappare nella custodia cautelare fino a tre anni ed essere arrestati in condizioni speciali.
Come Laddh abbiamo preso le difese dei militanti pacifisti contro la loro classificazione come “terroristi”. Eravamo quasi gli unici a parlarne.
Perché la Lega è stata sciolta?
Le nostre attività sono proibite dal 2021. Nel corso di questi anni siamo stati vittime di una campagna di demonizzazione sui social, sui media, con l’accusa di ricevere finanziamenti esteri da organizzazioni internazionali volti a destabilizzare l’Algeria.
Abbiamo il sostegno di organizzazioni considerate “terroristiche”, tra cui Mak, movimento per l’autodeterminazione della Cabilia, e Rachad, un movimento politico islamista. Quindi ogni volta che prendiamo le difese di attivisti e delle loro organizzazioni, ci accusano di terrorismo o sostegno al terrorismo. Ecco spiegato uno dei motivi di questo famoso scioglimento!
Noi siamo venuti a sapere della dissoluzione della Lega solo il 20 gennaio scorso grazie a un documento postato sui social, di cui abbiamo dovuto appurare la veridicità, riferito alla sentenza di. Siamo stati stupiti di venirne a conoscenza così, non eravamo nemmeno stati informati del processo.
Sostengono che vi siano conflitti interni alla nostra associazione, nonostante non conoscano i legittimi rappresentanti, rimproverano in modo molto chiaro il nostro lavoro e il nostro posizionamento a sostegno dell’Hirak. Ci accusano addirittura di essere la mente dell’Hirak.
Perché lei si trova in esilio?
Se non avessi scelto la strada dell’esilio il 23 giugno scorso, ora sarei in carcere come molti dei miei amici e responsabili nazionali della Laddh. Alla fine, quelli che non sono stati arrestati, si sono sentiti costretti a lasciare il territorio. A chi non è riuscito ad andarsene, è stato confiscato il passaporto ed è stato messo sotto controllo giudiziario. In Algeria sono stato arrestato già tre volte, ero perseguitato con minacce, sotto una costante pressione che ha reso la mia vita insopportabile, per non dire invivibile. Alla fine, dovevo scegliere tra la prigionia o la vita, la libertà. Ho scelto la seconda.
Quali saranno le prossime azioni che la Lega metterà in campo?
Attualmente i nostri avvocati, con i nostri attivisti, stanno studiando la possibilità di fare un ricorso al tribunale d’appello amministrativo di Algeri contro la sentenza, dal momento che non si è avuto un processo equo. Non ci è stato permesso di difenderci, di rispondere alle accuse del ministero dell’interno. Ci stiamo organizzando e mobilitando con i nostri partner, il Coordinamento maghrebino ha già fatto diverse dichiarazioni di solidarietà e diverse petizioni si stanno facendo strada a sostegno della riabilitazione della Laddh.
Intendiamo mobilitarci a livello internazionale, in Francia specialmente stiamo avendo maggiore sostegno. È una battaglia che vogliamo vincere non solo per noi, ma in primis per la nostra missione, per il nostro lavoro a difesa dei diritti umani in Algeria. Rivendichiamo la libertà di opinione, continuiamo a richiedere la liberazione dei detenuti di coscienza, ci assumiamo pienamente la responsabilità del nostro lavoro.
Quali pensa saranno le prossime azioni, invece, del regime?
Non credo che farà marcia indietro sulla repressione. Dopo tutte le visite da parte di capi di Stato e di governo dei diversi paesi europei, come Francia, Spagna, Italia, per fronteggiare la crisi energetica provocata dalla guerra tra Russia e Ucraìna, a prevalere sono gli interessi economici, che sono a detrimento dei diritti umani, della democrazia, della volontà del popolo.
Penso che il potere stia approfittando al massimo di questo stato di cose, per mettere fine quanto più velocemente possibile all’Hirak e a tutte le contestazioni.
Oggi il regime sta scivolando in una gestione del potere autoritaria, a volte anche dittatoriale, chiudendo non solo gli spazi rivendicati nel 2019, ma tutte le conquiste democratiche. E una delle conquiste democratiche dell’Algeria è stata anche la Lega algerina per i diritti umani.
L’Algeria di oggi è peggio di quella del 2019… Sembra di stare tornando agli anni del regime degli anni ‘90 che impediva agli algerini di esercitare le loro libertà fondamentali di espressione, opinione, riunione, politica. Ecco cosa stiamo vivendo.
Cosa pensa lei e cosa pensano in generale gli algerini del non esporsi dei maggiori partner commerciali europei, come l’Italia, sulla situazione socio-politica dell’Algeria?
Purtroppo la posizione dell’Italia è vista male in Algeria poiché è stato il primo paese a sostenere la potenza algerina nonostante tutte le violazioni dei diritti umani che si contano quotidianamente.
L’Algeria è legata all’Unione Europea da un accordo di associazione, il cui articolo 2 prevede il rispetto dei diritti umani, l’Unione Europea detta in questo senso le linee guida per la tutela dei diritti umani. Purtroppo l’Italia è stato il primo paese a sostenere il governo sempre più repressivo e autoritario algerino.
Certo, il governo italiano difende gli interessi dell’Italia, come l’esigenza di gas e petrolio. Ma quello che i nostri partner europei faticano a intendere è che qualsiasi instabilità in Algeria avrà un impatto negativo e diretto sull’Europa. Le persone che parlano della crisi dovuta alla guerra tra Russia e Ucraìna, dimenticano che l’Algeria è più vicina dell’Ucraìna rispetto alla Francia, l’Italia e la Spagna. Quindi, tutte le situazioni di instabilità in Algeria avranno un impatto diretto sull’immigrazione illegale.
E se oggi i partner europei pensano che le autorità algerine abbiano i mezzi per controllare le strade, si sbagliano perché ricordo che nel 2019 il capo del governo dichiarò di avere i mezzi per controllare le strade, eppure abbiamo visto il 22 febbraio come la gente sia scesa in piazza. A quel tempo, le manifestazioni furono pacifiche, ma un domani non siamo sicuri potranno esserlo, perché oggi la gente si sente veramente trascurata, abbandonata.
Quindi, il modo migliore per garantire gli interessi dell’Europa è sostenere un cambiamento graduale e progressivo in Algeria. La questione dei diritti umani è una questione universale, trasversale, è una questione che deve riguardare tutti. Il doppio standard che si applica a seconda dei paesi in questione è in contraddizione col principio dei diritti umani, perché tutte le persone devono avere il diritto di aspirare alla democrazia, al cambiamento. E questa volontà deve essere rispettata dai partner commerciali dell’Algeria.
Fortunatamente c’è solidarietà tra i popoli e le società civili, denotiamo come le posizioni dei governi non corrispondano a quelle delle persone, ma il punto è proprio questo: i governi dovrebbero incarnare la volontà delle persone, essere in ascolto della volontà popolare.
Noi non siamo a favore di un intervento internazionale o di un piano di destabilizzazione, non chiediamo all’Italia di fare cose per noi. Ma chiediamo che non vengano prese decisioni contro di noi, perché purtroppo oggi il potere si nutre di questo posizionamento.