La Somalia è in questo periodo più che mai al centro di avvenimenti che hanno un significativo impatto sulla stabilità della regione che si estende dal Corno d’Africa all’Africa orientale, con qualche conseguenza anche sui paesi della penisola arabica, in particolare quelli che si affacciano sul Mar Rosso e sul Golfo di Aden.
L’accordo con la Turchia, firmato l’8 febbraio, prevede, tra l’altro, l’impegno di Ankara a sviluppare ed equipaggiare la marina militare somala, ora praticamente inesistente, e a schierare la sua flotta a difesa dell’alleato, in caso di necessità. Mogadiscio concede così di fatto alla Turchia il controllo del mare prospicente le sue coste ben oltre i dieci anni previsti dall’intesa, dopo averle affidato, alcuni anni fa, l’addestramento dell’esercito.
Nel 2017 è stato infatti inaugurato a Mogadiscio Camp Turksom, un’importante struttura, estesa 400 ettari e costata 50 milioni di dollari, dove ogni anni 200 istruttori turchi addestrano centinaia di soldati somali.
Camp Turksom è entrato in funzione quasi contemporaneamente alla base militare Tariq bin Ziyad, in Qatar, dove stazionano migliaia di soldati turchi (3mila alla sua inaugurazione).
Interessante ricordare alcuni avvenimenti concomitanti nella regione.
Nel 2017 si era nel cuore della guerra civile yemenita, scoppiata nel 2014 e ancora in corso. Nel conflitto, Turchia e Qatar erano, e ancora sono, percepiti come sostenitori, almeno indiretti, dei ribelli houti, che agiscono sempre più chiaramente come portatori degli interessi iraniani nella regione.
Nel giugno del 2017 il Qatar era stato isolato dagli altri paesi della penisola arabica, aderenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), mentre si stringeva l’alleanza con Ankara, sigillata proprio dall’apertura della base militare di Tariq bin Ziyad.
I legami tra i due paesi erano, e sono, particolarmente significativi anche grazie all’ideologia della Fratellanza musulmana che ispira il progetto politico del presidente turco e del sultano del Qatar e che si contrappone all’ideologia wahabita che ispira invece la leadership saudita.
In Somalia all’inizio del 2017 si era concluso il primo mandato dell’attuale presidente somalo, Hassan Mohamud, anche lui considerato vicino alla Fratellanza musulmana, che evidentemente aveva portato avanti le trattative con Ankara per l’apertura di Camp Turksom.
Sostegni ad Hamas
Va infine considerato un ultimo tassello, di notevole importanza per quanto si gioca nella regione in questi giorni. Turchia e Qatar sono, da sempre, tra i migliori alleati di Hamas cui offrono supporto finanziario, politico ed ideologico. E la Somalia si accoda.
Il primo ministro Hamza Abdi Barre descrive Hamas come un movimento di liberazione, rifiutando categoricamente la definizione di organizzazione terroristica con cui la classificano Stati Uniti, Regno Unito e diversi altri paesi europei, tanto che Francia, Italia e Germania hanno recentemente chiesto sanzioni europee contro il gruppo.
Barre, in un infiammato discorso tenuto durante una cerimonia religiosa, ha perfino dichiarato l’intenzione di sostenere Hamas nelle sue operazioni contro Israele a Gaza.
L’impegno militare turco nella regione – che, in forza dell’accordo con Mogadiscio recentemente firmato, prevede ora anche l’eventuale presenza della sua flotta militare al largo delle coste somale – insieme alle posizioni espresse dal primo ministro somalo, sono da considerare con particolare attenzione in questo momento di confronto armato nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden tra gli houti, che sostengono apertamente Hamas nella guerra di Gaza, e i paesi occidentali, che si muovono a difesa delle strategiche rotte commerciali che li percorrono.
Etiopia e Kenya “interferenze straniere”
Con il rafforzarsi dei legami con la Turchia, la Somalia rischia inoltre di diventare una pedina nello scontro tra le diverse cordate di paesi musulmani che si gioca in Medio Oriente, facendo da ponte per il diffondersi di un’instabilità che andrebbe a sommarsi a quella già grave che ha radici più africane.
Lo suppone il Deutsche Welle, media outlet tedesco, che si chiede esplicitamente se l’intesa Somalia-Turchia abbia un impatto sull’Etiopia e, più in generale, sulla sicurezza nella regione.
L’autrice dell’articolo, Mimi Mefo Takambou, se ne dice convinta. Infatti, grazie al patto, il governo somalo esprime chiaramente la sua speranza di poter meglio fronteggiare problemi quali la pirateria e il terrorismo, oltre a “interferenze straniere”.
E il pensiero corre immediatamente alle tensioni con l’Etiopia per gli accordi con il Somaliland per l’uso commerciale e militare del porto di Berbera.
Tensioni che hanno già messo a rischio la sicurezza dei cieli. Sembra infatti da ricondurre a indicazioni contradditorie dei controllori di volo di Mogadiscio e di Hargeisa, capitale del Somaliland, il pericolo di una collisione, sventata all’ultimo momento, il 24 febbraio, tra un aereo della compagnia etiopica, Ethiopian Airlines Flight 602, e uno della compagnia del Qatar, Qatar Airways Flight 6U.
Ma un altro punto dell’intesa tra Ankara e Mogadiscio potrebbe riaccendere il contenzioso sulle risorse marine mai del tutto sopito con il Kenya. “Con questo accordo, la Turchia contribuirà al recupero delle risorse naturali all’interno dei confini marini della Somalia” sottolinea Yunus Turhan, un analista dei rapporti turco-somali all’università Haci Bayram Veli di Ankara.
Le risorse marine citate ricordano, tra l’altro, i depositi di gas e petrolio al largo delle coste tra la Somalia e il Kenya, anche in aree ancora di fatto contestate.
Il presidente somalo Hassan Mohamud ha sottolineato che il patto con la Turchia riguarda esclusivamente la difesa marina e il rafforzamento dei legami economici tra i due paesi e non “intende in nessun modo suscitare astio o contenziosi con un altro paese o governo”.
Ma, dicono, diversi analisti, queste autorevoli assicurazioni potrebbero non essere sufficienti a tranquillizzare i paesi della regione.