L’Africa è diventata uno dei teatri dello scontro tra la Russia e l’Occidente. Forse il maggiore.
Mentre si estende e si rafforza l’influenza di Mosca nella fascia saheliana del continente e molto si parla delle operazioni di intelligence ucraine nella regione, cresce la sua pressione sul Sudan, ponte tra Africa e Medio Oriente, adiacente ai paesi petroliferi della penisola arabica che si contendono l’influenza sui suoi governi e sulle sue politiche, affacciato sul Mar Rosso, passaggio cruciale per le rotte commerciali tra l’Asia meridionale e l’Europa.
Il Sudan è da tempo una pedina di grande importanza nella politica russa di penetrazione nel continente africano.
Il delicato “incarico” è stato giocato sia a livello diplomatico, attraverso i forum Russia-Africa e i numerosi viaggi e incontri bilaterali del ministro degli Esteri Sergey Lavrov con i governi sudanesi che si sono succeduti negli ultimi anni, sia a livello “informale” attraverso la presenza e le attività del Gruppo Wagner, oggi rinominato Africa Corps (cui Nigrizia ha dedicato le pagine di approfondimento della Bussola lo scorso aprile, ndr).
Si può dire che il Sudan sia il paese dove è stata messa a punto la strategia del ritorno di Mosca in Africa: sostegno a governi autocratici in cambio di risorse, utili a supportare l’economia di un paese dalle grandi ambizioni, frustrate, dopo la fine dell’Unione Sovietica, da una significativa riduzione nell’influenza internazionale.
In Sudan (e in Libia), nel 2017, si avvia l’avventura africana del Gruppo Wagner, di fatto un’unità dell’agenzia di intelligence militare russa, sotto la copertura, neanche troppo curata, di una compagnia di sicurezza privata. Il gruppo sbarca a Khartoum praticamente “invitato” dall’allora presidente Omar El Bashir, che durante una visita di stato a Mosca, aveva detto che il suo paese era minacciato dagli Stati Uniti e aveva bisogno di protezione.
Caccia all’oro
In cambio di training militare, chiede contatti e contratti per lo sfruttamento dell’oro, la risorsa più importante del Sudan, dopo che l’indipendenza del Sud Sudan aveva ridotto drasticamente la produzione di petrolio, i cui giacimenti più importanti erano rimasti sul territorio del nuovo paese.
Il filone d’oro più ricco si trova in Darfur, nella zona del Jebel Amir controllata dalle Forze di supporto rapido (RSF) che lo estraggono in buona parte – altro è estratto da minatori privati con mezzi spesso rudimentali – e ne centralizzano la commercializzazione. L’oro del Jebel Amir è la fonte di ricchezza e di influenza politica nel paese del comandante, e padrone, delle RSF, Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemeti.
Con lui, allora uomo forte del regime del presidente El Bashir che se ne fida ciecamente, il Gruppo Wagner stipula accordi per lo sfruttamento dei giacimenti e per la commercializzazione del prezioso minerale. Una compagnia di Pregozhin – allora amico personale del presidente Putin, fondatore e titolare del gruppo – aveva un impianto per la lavorazione del minerale aurifero nel cuore della regione mineraria, in Darfur.
Secondo diverse testimonianze, l’impianto era protetto da uomini delle RSF. I rapporti tra RSF e il Gruppo Wagner erano così stretti che un avvocato sudanese, Yaser Abdulrehman, dichiara al giornale tedesco Deutsche Welle (DW): “Hemeti e Wagner sono come gemelli siamesi”.
Contemporaneamente allo stringersi dei rapporti con i russi, aumenta la ricchezza della famiglia di Hemeti e si rafforza la sua influenza politica. Elementi che sono alla base del confronto con l’esercito nazionale e con il suo comandante, Abdel Fattah al-Burhan, che è anche il presidente del Consiglio Sovrano, la più importante istituzione del paese dopo la caduta del regime di El Bashir e la sua destituzione.
Allo scoppio del conflitto, nell’aprile del 2023, il supporto del Gruppo Wagner alle RSF ha fatto dire a alcuni osservatori che i russi sostenevano direttamente Hemeti. Cosa decisamente negata dal gruppo stesso. Isabelle Currie, ricercatrice specializzata in analisi sulla Wagner, ha dichiarato alla DW: “Mentre sembra che il gruppo Wagner abbia offerto assistenza militare a Hemeti, il suo coinvolgimento diretto nel conflitto rimane opaco”.
Al contrario, sembra accertato che l’oro sudanese, commercializzato attraverso gli Emirati Arabi Uniti abbia consentito a Mosca di sostenere, almeno in parte, lo sforzo bellico contro l’Ucraina, nonostante le sanzioni economiche occidentali.
Cambio di alleanze
Bisogna ricordare, però, che non si sono mai interrotti i legami del governo russo con quello sudanese in carica. Ora il governo di fatto, seppur di dubbia legittimità, è quello guidato dal generale al-Burhan che ha stabilito la sua capitale provvisoria a Port Sudan, sulla costa del Mar Rosso, da cui controlla quel che è rimasto dell’economia del paese, almeno nelle zone sotto la sua giurisdizione.
L’ultimo incontro è avvenuto a San Pietroburgo, all’inzio di giugno, durante il 27° Forum economico internazionale, cui ha partecipato per il Sudan Malik Agar, vicepresidente del Consiglio Sovrano. Agar ha visto il ministro degli Esteri russo Lavrov, al quale ha dichiarato l’interesse del suo governo a stringere rapporti militari, diplomatici ed economici.
In gioco, in particolare, una base militare russa sul Mar Rosso, di cui si parla da anni, fin dal tempo del regime di El Bashir. La decisione è stata data per ormai definitiva dai sudanesi e da diverse altre fonti: la base navale militare sarebbe stata concordata in cambio della fornitura di armamenti, necessari nella guerra in corso.
Quasi immediata la smentita russa, letta come un tentativo di non rescindere, almeno immediatamente, i rapporti con l’altro contendente nel conflitto, le RSF che continuano a mantenere il controllo sull’oro.
Secondo un’analisi della Jamestown Foudation, il cambio di alleanze sarebbe in corso e sarebbe negli interessi di Mosca più che del Sudan. Servirebbe infatti ad allineare anche in Sudan il ticket strategico diplomatico e militare con l’Iran, che sostiene il governo di fatto di Port Sudan.
E soprattutto una base sul Mar Rosso, sarebbe una costante spina nel fianco dell’Occidente. Servirebbe inoltre a consolidare le posizioni russe in Africa, mettendo solide radici anche nella regione che dalla Libia, dove Mosca appoggia il governo di Haftar, arriva al Corno d’Africa e alla costa orientale del continente.