È stato inserito dal Time tra i 100 libri da leggere del 2024 e ha già vinto il Premio Orwell per fiction politica, oltre a essere stato tra i candidati dell’ultima edizione del Booker Prize. Sono traguardi che presentano Amici di una vita per ciò che è: un piccolo capolavoro.
La più recente prova di narrativa del pluripremiato Hisham Matar, già insignito del Premio Pulitzer nel 2017 per l’autobiografia Il ritorno, è un libro d’esilio e di amicizia. O meglio, di come l’amicizia possa accompagnare i lunghi passi della nostalgia che attraversano una vita in esilio.
Tutto parte da un fatto realmente accaduto: il 17 aprile del 1984 un gruppo di manifestanti riuniti a Londra sotto l’ambasciata libica per protestare contro il regime di Gheddafi si vede sparare contro. Tra i feriti c’è Khaled, giovane libico proveniente da una famiglia di dissidenti politici che si era trasferito a Edimburgo per motivi di studio. La pallottola che gli perfora il polmone cambia la sua vita per sempre, rendendogli impossibile rientrare in patria.
Da quel momento, la sua vita deve adattarsi alla forma dell’esule, «intrappolato nel non-luogo dell’attesa». Il che significa ripensare tutti i progetti per la propria vita, passare più di 9 anni senza poter rivedere la propria famiglia e doverle costantemente mentire al telefono perché tutti i mezzi di comunicazione libici sono sotto controllo. Amici di una vita è una lunga elegia per la propria madre terra divenuta irraggiungibile, un labirinto di mancanze e vaste solitudini dove il filo per orientarsi è rappresentato dalle amicizie intessute negli anni.
C’è Mustafa, con cui Khaled condivide i momenti della manifestazione e della sparatoria. C’è Hosam Zowa, scrittore ammirato da Khaled fin da giovanissimo. Ma ci sono anche Rana, il professor Walbrook e molte altre figure che, anche per minor tempo, si affacciano alla vita del protagonista, e ne disegnano una piccola traiettoria.
Sono legami fatti anche di perdita, perché nella vita dell’esilio è facile smarrirsi, o per un istinto protettivo a ripiegarsi in sé stessi, o perché la vita porta altrove. E mentre Mustafa e Hosam scelgono di tornare in Libia nel 2011 per unirsi alla Primavera Araba, Khaled non lo fa. Rimane a Londra, una scelta che segna inevitabilmente il destino del suo legame con i due amici.
Il libro, come una spirale, oscilla tra il riavvolgere i passati trent’anni e lo scavare dentro al presente. Un percorso che Matar sembra tracciare con grande pazienza e delicatezza, come a far riecheggiare, nello spazio tra ogni lettera, ogni parola, ogni pagina, il vuoto lasciato dai profumi di Bengasi, dal colore del mediterraneo, dagli aromi della cucina materna.
Matar riesce a trovare l’equilibrio, con una lingua misurata ma estremamente poetica, tra l’incomunicabilità di questi dolori e la loro urgenza nel riaffiorare negli aspetti più semplici e quotidiani della vita, mentre la Storia si agita minacciosa sopra le teste dei protagonisti pronta a chiedere il conto per le loro scelte di vita.