Amnesty International: sui diritti umani siamo in regressione, in Africa subsahariana e non solo - Nigrizia
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Secondo l'ultimo report della ong, il continente soffre delle conseguenze di conflitti, crisi climatica e aumento prezzo del cibo
Amnesty International: sui diritti umani siamo in regressione, in Africa subsahariana e non solo
Ci sono alcune buone notizie ma lo scenario è complesso. A partire dalla guerra in Sudan
24 Aprile 2024
Articolo di Redazione
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La rimozione di un divieto alle attività politiche per le opposizioni in Tanzania; l’inizio di un programma per l’istruzione gratuita in Zambia, con l’assunzione di nuovi 4.500 insegnanti; vari disegni di legge, anche prossimi all’approvazione, che puntano a contrastare la violenza e le discriminazioni di genere in Sudafrica, Sierra Leone e Repubblica democratica del Congo. Nell’ultimo report annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo pubblicato da Amnesty International ci sono alcune buone notizie che arrivano dall’Africa subsahariana.

Certo, nel complesso lo scenario del continente è ancora segnato da pesanti violazioni e abusi. E dalla compresenza e congiuntura di conflitti, crisi climatica, compressione dello stato di diritto come risposta alle mobilitazioni popolari.

In regressione 

Necessario però, collocare la situazione dell’Africa nel più ampio contesto globale, che non è meno difficoltoso. Secondo Amnesty, ong per la tutela dei diritti umani nata in Gran Bretagna nel 1961 e che a oggi conta 10 milioni di attivisti in tutto il mondo, il nostro pianeta si è imbarcato su una pericolosa macchina del tempo: a detta dell’organizzazione, che rilancia un dato calcolato dal del V-dem Institute, un ente di ricerca di base in Svezia che studia le performance dei governi, il numero di persone che vive in democrazia è diminuito fino ad arrivare alla stessa cifra del 1985. Cinque anni prima della caduta del Muro di Berlino e della fine della Guerra Fredda, nove anni prima della liberazione di Nelson Mandela e dell’ultimo anno del regime di apartheid in Sudafrica, solo per citare due eventi storici dalla grande portata.

Si torna più indietro ancora, a prima della pubblicazione della Convenzione sul genocidio del 1948, se si guarda a cosa sta avvenendo in alcuni dei principali fronti di conflitto presenti nel mondo. L’imperativo “mai più” che ha spinto la comunità internazionale a reagire agli orrori della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto è stato «distrutto in mille pezzi» in Israele e a Gaza e in Ucraina, ma anche in Myanmar e in Cina, dove prosegue la persecuzione ai danni della minoranza uigura.

Anche quelli che potrebbero essere strumenti di progresso, forse in grado di accompagnare il mondo fuori da questa spirale regressiva, diventano invece mezzi utili a perpetuare razzismo, diffondere disinformazione e reprimere la libertà di espressione. Il grande sviluppo tecnologico, afferma Amnesty, non sta aiutando il mondo a evolvere insomma, e le prospettive di crescita e diffusione nell’uso dell’intelligenza artificiale sono motivo di preoccupazione.

Il dramma sudanese

Tornando all’Africa, la guerra in Sudan è al momento la crisi che provoca maggiore inquietudine. Il conflitto, scoppiato nell’aprile 2023 fra l’esercito regolare al servizio del presidente de facto Abdelfattah al-Burhan e le milizie agli ordini del vice presidente Mohamed Hamdan Dagalo, «illustra l’immensa sofferenza dei civili coinvolti nei conflitti armati in tutta la regione e il totale disprezzo da parte delle parti in conflitto per il diritto internazionale umanitario». Almeno 12mila, riporta Amnesty, le vittime civili del conflitto.

Le parti belligeranti in Sudan stanno commettendo anche violenze sessuali. Questo tragico elemento torna in diversi scenari di conflitto del continente e in modo particolare in Repubblica democratica del Congo, dove nella sola provincia nord-orientale del Nord Kivu e nei soli primi tre mesi dell’anno scorso sono state registrati 38.000 casi di violenza sessuale, stando a dati Unicef rilanciati nel report.

Oltre alle guerre, in Africa continuano a registrarsi fasi di violenta repressione del dissenso. «In molti casi – si legge nel testo – le forze di sicurezza hanno disperso le proteste utilizzando una forza eccessiva; decine di manifestanti e passanti sono stati uccisi e feriti, anche in Angola, Etiopia, Kenya, Mali, Mozambico, Senegal e Somalia».

Diritto al cibo, diritto mancato 

Un altro dei problemi che emerge dal report di Amnesty è il mancato diritto al cibo. «Molti paesi africani – denuncia l’ong – sono stati tra i più colpiti al mondo dall’elevata inflazione dei prezzi alimentari. Il numero di persone che soffrono di insicurezza alimentare ha raggiunto proporzioni sconcertanti. Il Programma alimentare mondiale ha stimato che a febbraio il 78% della popolazione della Sierra Leone soffriva di insicurezza alimentare e il 20% delle famiglie soffriva di grave insicurezza alimentare. A dicembre, l’Ocha ha affermato che 5,83 milioni di persone (46%) della popolazione del Sud Sudan vivevano livelli elevati di insicurezza alimentare. In Namibia, l’insicurezza alimentare acuta è aumentata drasticamente, colpendo il 22% della popolazione».

Questo problema è a sua volta aggravato dai cambiamenti climatici e dai conflitti, in una dinamica di moltiplicazione dei fronti di criticità che si registra in molte regioni del continente. Ripercuotendosi, a esempio, anche sul godimento del diritto allo studio. Questo, afferma Amnesty, «è stato negato o gravemente ostacolato nei paesi colpiti da conflitti, in particolare in Burkina Faso, Camerun, RD Congo e Niger».

Le guerre lasciano poi ferite che vanno rimarginate e vittime che meritano giustizia. Ma anche su questo fronte sono stati osservati dei passi indietro. I governi di diversi paesi, fra i quali l’Etiopia, stanno di fatto abbandonando od ostacolando processi per la verità e la riparazione a seguito di conflitti e violazioni dei diritti umani. Fra le note positive in questo senso, l’arresto di quattro uomini accusati di crimini di guerra e/o crimini contro l’umanità in Repubblica Centrafricana.

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