Le denuncia di Amnesty International è circostanziata: «Dall’inizio del 2024 agenti dell’ASI (l’Agenzia per la sicurezza interna libica, ndr) pesantemente armati hanno arrestato, senza mandato, decine di persone tra cui donne e uomini con più di settant’anni, prelevandole dalle loro abitazioni, dalle strade o da altri luoghi pubblici nelle aree della Libia orientale e meridionale sotto il controllo delle Laaf (le autoproclamate Forze armate arabe libiche).
Le persone arrestate sono state poi trasferite in strutture controllate dall’ASI, dove sono rimaste in detenzione arbitraria per mesi, senza la possibilità di contattare le loro famiglie o gli avvocati; alcune sono state vittime di sparizioni forzate per periodi fino a dieci mesi. Nessuna di loro è stata portata davanti alle autorità giudiziarie, né ha avuto modo di contestare la legalità della propria detenzione o è stata formalmente accusata di alcun reato».
Vittime della repressioni non sono stati solo oppositori politici, ma anche attivisti, scrittori e blogger.
Cosa sono Laaf e ASI
Le Laaf sono un potente gruppo armato alle dipendenze della famiglia Haftar che controlla l’est del paese. Hanno un ruolo ibrido in ambito della sicurezza: istituzionale e allo stesso tempo “informale” con azioni militari “terroristiche”.
L’ASI opera sotto l’autorità de facto delle Laaf ed è guidata da Ousama Al-Dressi. Una somma di 179 miliardi di dinari libici (circa 34 miliardi di euro), approvata nel luglio 2024 dal parlamento di Bengasi e alleato delle Laaf, prevede il finanziamento di gruppi armati, tra cui l’ASI, noti per precedenti violazioni dei diritti umani.
Un’entità separata, anch’essa chiamata ASI, opera nella Libia occidentale ed è guidata da Lotfi al-Harari, sotto l’autorità del Governo di unità nazionale con sede a Tripoli. Avrebbe il compito di preservare «l’entità dello stato, proteggere la sua sicurezza politica, sociale ed economica e combattere il terrorismo, i fenomeni distruttivi, i pericoli e le minacce che prendono di mira i suoi valori religiosi e sociali e ne minano la reputazione o le relazioni internazionali» si legge sulla sua pagina internet.
Le morti oscure nei centri
Secondo Amnesty, «tra aprile e luglio due persone sono morte in custodia in circostanze sospette mentre si trovavano in centri di detenzione controllati dall’ASI a Bengasi e Ajdabiya. Non sono state avviate indagini penali indipendenti e imparziali».
Una situazione che fotografa come la cultura dell’impunità sia ormai diffusa nel paese. Soprattutto a est.
Deve finire l’impunità
Amnesty lancia un appello sia al Governo di unità nazionale con sede a Tripoli sia alle Faal che «devono garantire l’immediata scarcerazione di tutti coloro che sono detenuti arbitrariamente soltanto per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione». Non solo: «Le Faal devono sospendere i comandanti e i membri dell’ASI ragionevolmente sospettati di crimini di diritto internazionale e di gravi violazioni dei diritti umani».
A supportare le sue denunce, l’organizzazione internazionale sui diritti umani ha raccontato le storie di alcune vittime della violenza arbitraria delle Laaf, tra cui quella di Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi, 44 anni, morto mentre si trovava in un centro di detenzione dell’ASI ad Ajdabiya.