Da ormai diversi anni, negli ospedali angolani la carenza di sangue è diventata strutturale. Si tratta un enorme problema per il sistema sanitario che è classificato come uno dei peggiori al mondo.
E con l’arrivo del Covid-19, che fino a oggi ha fatto registrare quasi 40mila casi e quasi un migliaio di morti, la situazione si è aggravata, soprattutto nelle province del sud. In questa stagione, poi, la malaria persistente ha ulteriormente contribuito a incrementare i casi di anemia e, quindi, il fabbisogno di sangue negli ospedali.
A Luanda la necessità di sangue è fissata in circa 300mila donazioni annue, ma nel corso del 2020 ne sono state ricevute soltanto 154mila, praticamente la metà del fabbisogno e di quanto raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Così, a donare il sangue sono, in diverse circostanze, essenzialmente i familiari dei pazienti. Ciò non solo non risolve il problema, ma aumenta una crisi di cui non si scorge la fine.
Come gesto di solidarietà, l’ambasciata portoghese in Angola (così come i consolati nelle province di Benguela e Huíla) ha dedicato il 10 di giugno (Giornata di Camões, del Portogallo e delle Comunità portoghesi) alla donazione di sangue per supplire a tale carenza, sotto lo slogan “10 de junho de 2021 – Estamos juntos, Está-nos no sangue” (10 di giugno del 2021 – Stiamo insieme, ce l’abbiamo nel sangue).
Al sud, però, i dati sono ancora peggiori. Nella provincia di Namibe, ad esempio, bambini e gestanti sono morti per mancanza di sangue, e le unità di ematologia dei vari ospedali non riescono a trovare alcuna soluzione al problema.
La notte fra il 31 dicembre e il 1º gennaio, l’Ospedale generale di Moxico è rimasto senza riserve, a causa dei frequenti casi di anemia. In quella giornata furono fatte solo 12 trasfusioni per aiutare i pazienti malarici, mentre gli altri malati hanno dovuto fare ricorso ai propri familiari, i quali non sempre hanno gruppi sanguigni compatibili.
Basta pagare
Tuttavia, laddove il sistema istituzionale non arriva, il mercato informale (ossia, nero) riesce a dare alcune risposte soddisfacenti e immediate. Basta trovare un accordo e pagare.
È quanto ho fatto oggi. All’Ospedale generale di Benguela, qualche ben informato mi ha dato le prime nozioni di questo traffico, fornendomi anche il telefono di una persona che lo organizza.
L’informatore ha subito chiarito che la compravendita di sangue, in queste ultime settimane, ha fatto registrare un boom, che il costo del sangue è, più o meno, prefissato, e che esso aumenta in funzione della rarità del gruppo sanguigno e dell’urgenza. Ho avvicinato alcuni giovani, mischiati fra la calca che anima di solito le zone limítrofe all’ospedale, in attesa di clienti: si sono rifiutati di essere intervistati.
Il contatto telefonico, però, ha funzionato. Pur ricorrendo a uno stratagemma (mi sono finta una persona bisognosa di sangue per un mio familiare), sono venuta a sapere che, in media, una trasfusione può arrivare a costare 15mila kwanzas (circa una ventina di euro, in un paese il cui reddito medio annuo non supera i 2.300 euro pro-capite), ma che può raggiungere i 20-25mila per i gruppi sanguigni più rari.
In ogni caso, la prudenza ha consigliato al mio interlocutore di incontrarci di fronte all’ospedale per trattare sul prezzo, lasciandomi capire che stavo entrando in un mondo dove tutto è possibile.
Al momento non è dato sapere se questo fiorente mercato è alimentato dall’interno dell’ospedale, a Benguela come altrove, o segue canali del tutto autonomi. Ciò che è certo è che questo mercato sta registrando una continua ascesa, e che tutto lascia prevedere che, nei prossimi mesi, con una possibile, nuova ondata di Covid-19, la situazione peggiori ulteriormente, aprendo così nuove, inaspettate opportunità per chi si dedica a questo commercio così lucrativo.